Nell’occhio del ciclone
Erik Peterson è un nome poco conosciuto. E questo forse perché è stato ed è un vero e proprio outsider.
Erik Peterson è un nome poco conosciuto: sia in Germania, il Paese che gli ha dato i natali, sia in Italia, dove si è trasferito negli anni Trenta del secolo scorso e ha vissuto in pratica sino alla morte. Poco conosciuto persino tra gli addetti ai lavori in teologia, il campo di ricerca ove ha esercitato la sua straordinaria intelligenza e la sua indomita passione.
E questo forse perché è stato ed è un vero e proprio outsider. Non per nulla il cardinal Karl Lehmann, arcivescovo di Mainz, l’ha efficacemente definito «un teologo di ieri per la Chiesa di domani». Tanto che è ormai a buon punto la pubblicazione della sua “opera omnia” in tedesco, che meritoriamente sarà in buona parte edita in italiano per i tipi di Città Nuova editrice.
L’attualità della sua esperienza di fede e del suo pensiero si è profilata a tutto tondo nel corso di un importante simposio a lui dedicato lo scorso ottobre a Roma, a cinquant’anni dalla sua morte. Il papa stesso ha voluto ricevere i partecipanti e, lasciando il discorso scritto, ha illustrato a braccio, con efficacia e coinvolgimento, il suo personale debito di riconoscenza nei confronti di Peterson: «Da lui ho imparato – ha detto –, in modo più essenziale e profondo, che cosa sia realmente la teologia».
Nel corso dei lavori mi ha colpito, tra l’altro, un’affermazione di Peterson che mi ha fatto intuire il senso forse più intimo e profondo del suo luminoso e provocante magistero umano e intellettuale. L’essenziale per il cristiano – egli scriveva – sta in questo: lasciarsi coinvolgere «nell’occhio del ciclone della grazia», anche se ciò implica, il più di volte, vivere e operare ai margini rispetto agli eclatanti avvenimenti della storia e all’ufficialità dei pubblici riconoscimenti.
È un lampo di luce quello che mi ha raggiunto attraverso queste parole. Esse rischiarano infatti, a partire dalla vicenda di Gesù, lo stile di esistenza e d’impegno che anche noi, suoi discepoli, siamo chiamati a vivere per essere testimoni e attori della storia nuova che egli ha inaugurato.
Abitare «nell’occhio del ciclone della grazia» non significa infatti chissà che. Significa semplicemente vivere e agire nel quotidiano della storia senza sconti, senza “se” e senza “ma”, seguendo la logica di Gesù: in ascolto disarmato e stupito del suo Spirito nel qui e nell’ora. È così che si fa la storia di Dio con gli uomini. Spesso ai margini di quella che appare agli occhi dei più come la grande storia. Ma con l’efficacia, nota agli occhi di Dio, di ciò che viene dal suo Spirito di verità e di amore. E che, prima o poi, porta frutti duraturi.