Nell’incanto della Colimbetra

Nella Valle dei Templi ad Agrigento l’iniziativa congiunta di ambientalisti, agronomi, archeologi e politici di buona volontà ha riscattato dal degrado un vero piccolo Eden le cui origini risalgono al V secolo a. C.
Di fab. - agrigento_kolymbetra, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=27366456

L’ultimo libro di Marco Frittella, volto storico del giornalismo televisivo, rinfranca l’animo fra tante notizie deprimenti: edito da Rai Libri, L’oro d’Italia – sottotitolo: Dall’abbandono alla rinascita, viaggio nel Paese che riscopre i suoi tesori (e la sua anima) punta infatti i riflettori sulle storie di recuperi eccellenti di beni artistici e culturali per troppi anni lasciati deperire da colpevole incuria e sottovalutazione: dall’antica Pompei alle regge di Caserta, Carditello e Venaria Reale, dal giardino della Colimbetra di Agrigento alla Villa Gregoriana di Tivoli, dalle Catacombe di San Gennaro valorizzate da una cooperativa di giovani napoletani strappati all’emarginazione ai musei dotati di autonomia e alle tante dimore storiche recuperate dai volontari del Fai (Fondo Ambiente Italiano). Un viaggio affascinante attraverso le parole dei protagonisti – archeologi, manager culturali, specialisti di ogni genere, volontari e militari – che si conclude col racconto delle varie scuole di restauro del nostro Paese, famose e ammirate in tutto il mondo, e del nucleo dei Carabinieri che tutela e salvaguarda i nostri tesori.

Fra i siti considerati dall’autore, emblematica per la sua vicenda di rinascita dall’abbandono e dal degrado è la Colimbetra, nome di una valle all’interno del parco della Valle dei Templi ad Agrigento (oggi patrimonio Unesco), dove nel V secolo per ordine di Terone, tiranno della città, le acque raccolte e incanalate da un gigantesco sistema di approvvigionamento idrico confluirono in una grande piscina fatta scavare nel cuore della collina dai prigionieri cartaginesi dopo la vittoria di Himera (480 a.C.). La Kolymbethra, che vuol dire appunto “piscina, vasca, cisterna”, fu una preziosa riserva d’acqua per gli abitanti di Agrigento divenuta anche – c’informa lo storico Diodoro Siculo – «un vivaio che forniva molti pesci per l’alimentazione e per il gusto; e poiché moltissimi cigni volavano giù per essa, la sua vista era una delizia».

Nel suo Viaggio pittoresco ovvero descrizione dei regni di Napoli e Sicilia (1783) l’Abate di Saint-Non, pittore, incisore e letterato finissimo, descrisse quel sito di cinque ettari ancora incontaminato come «una piccola valle che, per la sua sorprendente fertilità, somiglia alla valle dell’Eden o a un angolo della Terra Promessa». Circa un secolo dopo un altro viaggiatore francese lo decantava così: «La vista di cui si gode dai bordi della piscina della Colimbetra è superba. Gli antichi templi mostrano le loro colonne attraverso gli alberi di arancio e al di là si scopre il mare infinito. […] Lasciammo l’orlo del burrone e andammo a riposarci all’ombra di un folto carrubo; i massi del tempio di Zeus Olimpio erano ammonticchiati intorno a noi e di là dagli olivi […]. Dall’alto domina il tempio, in pieno sole, mentre dal basso voi vi avvolgete di ombra al profumo della zagara». E, in epoca a noi più prossima, Luigi Pirandello: «La tenuta scendeva con gli ultimi olivi in quel burrone, gola d’ombra cinerulea, nel cui fondo sornuotano i gelsi, i carrubi, gli aranci, i limoni lieti d’un rivo d’acqua che vi scorre da una vena aperta laggiù in fondo, nella grotta misteriosa di San Calogero».

Insomma, uno scenario idilliaco. Qualcosa però cambia dalla seconda metà del secolo scorso, come fa notare l’autore del libro, e quel che era un paradiso – iniziando dalla distrutta piscina dei cigni – diventa «un inferno di degrado, sporcizia, abuso. Fino a pochi decenni fa la valle era abbandonata, i rovi e le erbacce ne avevano nascosto il profilo, il fondo si era degradato a discarica e tra i rifiuti scorrevano liquidi miasmatici di fogne abusive. Da lì è partito un vero e proprio miracolo del recupero che si deve tutto a un agronomo coraggioso di Agrigento, a un illustre studioso palermitano di arboricoltura, a un sovrintendente non burocrate, a qualche esponente istituzionale di buona volontà e ai vertici del Fai. Vale la pena raccontarne la storia».

L’agronomo ambientalista si chiama Giuseppe Lo Pilato e la storia della Colimbetra, ridotta in condizioni pietose «con i suoi ipogei greci, gioiello dell’ingegneria magnogreca, i suoi aranci ammalati e le sue straordinarie potenzialità, attraversa «gli anni in cui i giovani migliori di Agrigento e della Sicilia avevano cominciato a reagire allo scempio che mafiosi, speculatori edilizi, politici corrotti, burocrati ciechi sordi e muti, e spesso complici, avevano fatto di quel luogo incantevole e preziosissimo».

Per riportarlo al primiero splendore occorsero due anni di durissimo lavoro da parte di agronomi, zoologi, speleologi, architetti e archeologi. «Per prima cosa furono allontanate le fogne abusive e risanate le discariche, poi fu rimossa la vegetazione spontanea. Furono individuati gli alberi da frutto superstiti e le tracce dell’orto, delle vasche e dei canali di irrigazione; risanati i muretti a secco e gli attraversamenti del fiume. Vennero riattivati gli ipogei liberandoli da tutto ciò che negli anni li aveva ostruiti; poi vennero ripuliti gli argini del fiume e del suo affluente che scorrono nella valle e per consolidare le sponde si piantarono pioppi bianchi, tamerici, salici, mirti, terebinti giganteschi. Si ricostruì la trama geometrica dell’antica coltivazione. Fu fondamentale per tutto questo lavoro l’apporto di potatori della “Conca d’oro” palermitana ancora in possesso dell’antica sapienza dell’arboricoltura. Quindi toccò restaurare i due vasconi, le “gebbie”, che servono all’accumulo delle acque e che sono a presidio di un sistema d’irrigazione naturale e di precisione di origine araba che sfrutta ogni minima pendenza del terreno».

Nel contesto strepitoso della Valle dei Templi, il Giardino della Colimbetra, inaugurato il 9 novembre 2001, gestito dal Fai e diretto da Giuseppe Lo Pilato, rappresenta oggi un paesaggio – scrive Giuseppe Barbera nel suo Giardino del Mediterraneo – «riconosciuto per i suoi valori culturali e naturalistici, intessuti di memorie storiche, letterarie ed artistiche», la cui attività agricola – commenta Marco Frittella –, non è pura testimonianza estetica, diciamo così: la coltivazione è finalizzata alla biodiversità, al recupero di varietà genetiche botaniche presenti anticamente e che in gran parte non vengono più coltivate».

Chi visita oggi questo piccolo Eden avverte di nuovo, deliziato, «il profumo delle zagare – come recita un testo della guida del Fai –, il sapore delle mandorle, l’argento degli ulivi, l’umido della terra, il rumore di sottofondo dell’acqua che è tornata a scorrere».

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