Nell’impossibile Dio cambia la storia

Cinquant'anni fa iniziava il Concilio Vaticano II e papa Giovanni affidava la Chiesa a Maria e a san Francesco, per imparare da loro la povertà e la debolezza
Concilio Vaticano II

11 settembre 1962 -11 settembre 2012
Cinquanta anni fa, a un mese dall’inizio del concilio, papa Giovanni lancia un radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo, in  preparazione del Concilio.
 
Questo radiomessaggio nasce probabilmente, come gli studi hanno confermato, dalla lettura che Roncalli fa di un appunto del cardinale di Bruxelles, Leo Suenens.Tutto ha la sua fonte nel grido liturgico Lumen Christi, a cui la chiesa risponde Deo Gratias. Dalla liturgia si genera la presenza feconda e rigeneratrice della Chiesa nella storia. Non una Chiesa separata dalla storia, ma una Chiesa dentro la storia, che ne accoglie le sfide e i segni del Signore che viene…
 
Dentro il grande appello che Roncalli fa all’unità del genere umano e alla famiglia dei popoli e alle famiglie delle persone, papa Giovanni dona una parola che ancora opera nei nostri cuori: «altro punto luminoso. In faccia ai Paesi sottosviluppati, la Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri».
 
Un squarcio di luce, che nasce dal guardare alla storia con gli occhi del Vangelo. Il dramma dei popoli poveri del Sud del mondo domanda alla Chiesa di essere fedele al Vangelo di Gesù, messia povero e dei poveri, di convertirsi al suo mistero (quale è) e al suo costante rinnovamento (e vuole essere): la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri.
 
Nessun sociologismo, nessun pauperismo, nessun politicismo, ma obbedienza pura e semplice al Vangelo del Signore,così come lui ce lo consegna nell’oggi della storia. Davvero per riprendere una frase di Roncalli, detta pochi giorni prima di morire, «non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio».
 
Cominciare e comprendere meglio il Vangelo è essere e diventare la Chiesa dei poveri, imparando dai poveri e dai sofferenti a leggere il Vangelo.
 
In questo discorso Roncalli pone anche la questione della pace. Dice il papa: «Il concilio ecumenico sta per adunarsi a 17 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Per la prima volta nella storia i padri del concilio apparterranno, in realtà, a tutti i popoli e nazioni, e ciascuno recherà contributo di intelligenza e di esperienza a guarire e a sanare le cicatrici dei due conflitti che hanno profondamente mutato il volto di tutti i Paesi». I padri del concilio sono chiamati a guarire e a sanare le cicatrici dei due conflitti.. Ecco il compito di guarigione che papa Giovanni dà al Concilio in ordine alla tragedia delle due guerre mondiali. Il papa non indica una teologia ma ascolta il grido degli innocenti: «le madri e i padri di famiglia detestano la guerra: la Chiesa, madre di tutti indistintamente, solleverà una volta ancora la conclamazione che sale dal fondo dei secoli  e da Betlemme e di là sul calvario, per effondersi in supplichevole precetto di pace».
 
È perchè Roncalli ha detto queste parole e ha compiuto l’’azione straordinaria del concilio che oggi la Chiesa dei poveri e la Chiesa della pace sono diventate Chiese di martiri: da mons. Romero a frère Christian, dalla piccolezza della comunità credente in Myammar alla Chiesa crocifissa della Siria e del Medio Oriente. E il bisogno di Cchiesa testimoniato dal funerale del card. Martini ha in quel discorso di papa Giovanni una delle sue fonti più cristalline.

Nessun trionfalismo di fronte al caro prezzo del martirio e della morte vissuta in Dio, ma pieno riconoscimento della visita speciale di Dio nel nostro tempo e nella nostra storia.
 
Nessuna nostalgia del passato e nessun reducismo. Il concilio è ancora davanti a noi e papa Roncalli chiede a noi, a tutti noi, di non voltarci indietro come la moglie di Lot, di non temere,di non avere paura, ma di invocare la speranza, perché nell’impossibile Dio cambia la storia.

Il 4 ottobre papa Roncalli esce al Vaticano e da Roma e va ad Assisi e Loreto, ponendo tutto nella memoria di Maria di Nazaret e di san Francesco. Quella memoria di Dio che ci chiama ad ascoltare e condividere la vita dei piccoli della terra, per riconoscere lì il tempo della sua visita.
 

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