Nelle tue mani
Il giovane Mathieu fa il ladruncolo, spaccia per mantenere mamma e due fratelli nella banlieu parigina. Nella confusione di una stazione suona il piano, rapito. Lo osserva il direttore del Conservatorio , Pierre – un uomo solo, che ha perso il figlio quindicenne – e intuisce che il ragazzo è un talento unico. Mathieu infatti è rapito dalla musica: mentre si trova in una villa di notte per un furto, vede un piano, l’attrazione è fatale, si mette a suonare. Ovvio, la polizia lo sente e finisce in carcere. Ma Pierre riesce a farselo assegnare per le pulizie, una scusa. Vuole convincere il giovane a perfezionarsi e a presentarsi al concorso nazionale. Difficile, il ragazzo non ne vuol sapere. Eppure, la forza della vocazione è così irruente che decide di impegnarsi, perchè la musica ce l’ha dentro e se non la segue, muore. Il piccolo grande film Nelle tue mani (nelle mani del ragazzo c’è tutta l’arte e i l suo futuro) diretto con estro giovanile da Ludovic Bernard forse sa di favola, ma anche di positività. Soprattutto segue la storia del giovane e del suo mentore che rinuncia a tutto pur di convincerlo, per raccontare un fatto semplice e sconcertante: la vocazione è qualcosa di così forte che costringe anche chi non vuole a seguirla. Bravissimi gli interpreti, belle le musiche, efficace e reale la lotta di Pierre per portare via dalla strada Mathieu, niente affatto edulcorata, ma sincera.
Se Mathieu si trova il talento dentro di sé senza alcuna fatica, Van Gogh invece la vocazione la deve scoprire. Il film di Julian Schnabel Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, con un meraviglioso, somigliantissimo Willem Dafoe (Coppa Volpi a Venezia 2018) racconta non la biografia vera e propria, ma piuttosto la biografia interiore. Ossia il viaggio che Vincent compie per trovare la propria strada, la ”vocazione alla pittura”. Sentiero in salita, sia per il carattere dell’artista e sia per le circostanze che lo circondano,tra fallimenti – la convivenza con Gauguin -, l’incomprensione della gente, il dileggio dei ragazzi per il “matto” che va nei campi a dipingere. Vincent scopre man mano la via, attraverso dolori come l’internamento in manicomio, che pure procurano illuminazioni folgoranti. La pittura di Vincent è luce, violenta e drammatica, desiderio di sfondare l’eterno. Il film si compiace, giustamente, di immergerci nei colori, nella natura glorificata dagli occhi e dal pennello di van Gogh, in un discorso che mette insieme intuizioni fiammeggianti e umanità fragilissima. Un festa dei colorii e una festa nel volto di Dafoe per comprendere come anche per Vincent la vocazione, scoperta dolorosamente, sia qualcosa di cui non si può fare a meno, anche se fa impazzire. Da non perdere.