Nella “terra del sorriso”
Un “piccolo gregge” quello della Chiesa cattolica in Thailandia: 358 mila, sparsi su un territorio che misura da nord a sud 1.648 chilometri, e 780 da ovest ad est. La sua popolazione sfiora i 68 milioni di persone, con una varietà di popoli al suo interno unica nella regione, soprattutto per l’accoglienza che viene data a tutti nel cosiddetto “Regno degli uomini liberi”. Tanti se non tutti nei Paesi limitrofi – come Vietnam, Cambogia, Laos e Myanmar –, sognano un giorno o l’altro di venire a lavorare e abitare in Thailandia, “affamata” di mano d’opera a basso costo. Ed anche dalle montagne desiderano scendere verso le grandi città per farsi una vita migliore. Sono popoli interi, o quasi, che migrano, e si trovano al confine col Myanmar, il Laos, la Cambogia. Parlo degli akha, dei lahu, karen, hmong-miao, mien-yao, lisu e palaung.
Insomma, una grande varietà di volti, colori della pelle e religioni che abitano questo splendido Paese. I buddhisti rappresentano circa il 94,50% della popolazione credente: poi ci sono i musulmani, intorno al 4,29%, e i cristiani di tutte le denominazioni, coll’1,17%. Quest’anno i cattolici festeggiano i 350 dalla fondazione della prima missione cattolica del Siam (come si chiamava nel 1669 la Thailandia) istituita da Clemente IX. Dal 1669 al 2019 fanno giusto 350 anni, in cui il piccolo gregge cattolico nel Regno della Thailandia è cresciuto in numero e soprattutto in servizi. Sono molte le opere sociali in cui la Chiesa ha fatto davvero da miccia, da iniziatore ed esempio per tutto il Paese: opere a favore delle persone diversamente abili, ammalati, anziani, ammalati di Aids e quant’altro possa esserci che oggi sono presenti sul territorio nazionale.
La spinta verso i più poveri, ad opera soprattutto dei missionari stranieri, ha segnato la storia del Paese, lo si può affermare tranquillamente. Ospedali, case di cura, orfanotrofi, ospizi, lebbrosari a favore dei “meno fortunati”, come diciamo noi o, per dirla secondo la cultura locale, a favore “di coloro che dovevano scontare un karma negativo”, sono esempi luminosi in una società dove naturalmente e culturalmente si tenderebbe a scartare ed emarginare il diverso, il meno abile. Solo un esempio, la Casa degli angeli, una struttura tenuta dalle suore laiche saveriane che accoglie i bambini con forti disabilità e le loro mamme, rifiutate dalle famiglie d’origine che hanno letteralmente cacciato sia le mamme che i bambini perché portatori di sventura per tutta la famiglia. Le mamme diventano a loro volta infermiere, in questo centro alle porte di Bangkok, e iniziano un percorso con le religiose e laiche che prestano servizio ed anche di riscatto sociale, diventando badanti e infermiere del centro.
Il papa arriverà il 20 novembre in una Chiesa in festa dove tutto viene preparato alla perfezione per questo evento storico. Papa Bergoglio incontrerà il 21 novembre il primo ministro, il gen. Prayut chan-o-cha, il corpo diplomatico, il supremo patriarca del buddhismo thailandese al tempio Wat Rachabophit Sathi Maha Simaram: seguirà la vista agli ammalati al Saint-Louis Hospital, e in serata una vista privata col re della Thailandia, sua maestà Maha Vajiralongkorn. Seguirà la messa allo Stadio nazionale. Saranno incontri politici molto importanti per la posizione della Chiesa nella società che, abilmente, da sempre gode di grandi stima e fiducia da parte delle istituzioni.
Anche nel campo del dialogo interreligioso, in questi ultimi 25 anni si è lavorato tanto e con molto frutto. C’è grande fiducia e stima da parte delle autorità buddhiste verso la Chiesa e soprattutto verso Bergoglio, che alcuni monaci prendono come loro personale esempio di vita. Il giorno 22 sarà una giornata dedica interamente alla Chiesa locale. Sappiamo che anche molti fedeli dai Paesi limitrofi saranno presenti: Paesi in cui il papa non può ancora recarsi e dove la Chiesa, come in Thailandia, è in minoranza.
Intervistando dei sacerdoti missionari ho chiesto loro, secondo l’esperienza fatta, quali problemi papa Francesco dovrà affrontare. La risposta è stata unanime: la mondanità, il livello di vita spesso “alto” dei preti di città che urta con la povertà che ancora oggi si riscontra nelle parrocchie di missione del nord, per esempio. E ancora la scarsa “missionarietà”, poca spinta evangelica a uscir fuori per evangelizzare; senza dimenticare che il prestigio che la posizione del sacerdote cattolico (come quello buddhista) ha nella società è spesso ingiustificata, distaccando il clero dal popolo. Le missioni del nord, delle diocesi che sono a contatto con le popolazioni menzionate all’inizio dell’articolo, hanno uno stile di vita molto diverse dalle parrocchie della capitale. Insomma, problemi a cui Bergoglio è ben abituato e di cui è consapevole.