Nella terra dei muri

A Betlemme 130 giovani dei Focolari provenienti da 25 nazioni diverse incontrano il sindaco Vera Baboun e alcuni coetanei palestinesi. «In una nazione ferita dall’assenza di fraternità la regola "Fai agli agli altri ciò che vorresti fatto a te" è il vero cambiamento» ha detto il primo cittadino
Basilica della Natività a Betlemme

Il Peace Center si trova nel cuore politico e multi-religioso di Betlemme. Nella stessa piazza, un quadrato di pietra bianca delimitato da palme, ci sono la basilica della natività (nella foto) e la moschea. Sono una di fronte all’altra, non tanto a sfidarsi quanto a fotografare in un flash unico una convivenza che non ha nulla di scontro o di intolleranza. A fianco c’è il comune, una costruzione moderna in pietra bianca, mentre tutt’attorno sono i colori del mercato e il vociare dei negozianti che invitano gli sparuti turisti a fare incetta di cibi e arredi.

A Betlemme il muro che, come tutti sanno, il governo israeliano ha deciso di costruire a difesa del suo territorio è una presenza quasi ossessiva: ti accoglie sulla strada di accesso alla città, circonda le nuove costruzioni, lo scorgi dall’alto del cimitero cristiano, è una striscia di cemento a singhiozzo che si erge nella campagna brulla e che metro dopo metro sta rinchiudendo non solo una città ma un popolo.

I Giovani per un mondo unito del Movimento dei Focolari, 130 da 25 nazioni diverse, hanno voluto iniziare dal Peace Center a rinforzare i ponti di fraternità che a partire dal Genfest, la manifestazione partita a Budapest nel settembre 2012, hanno continuato a gettare in tante parti del mondo. Se lo slogan ungherese era Let’s bridge, un neologismo che invitata a costruire legami e a superare barriere tra popoli, fedi, culture, ora è Be the bridge – essere ponti, il progetto che si lancerà proprio dalla Terra Santa, con una banca dati che si impegnerà a catalogare le buone pratiche ispirate alla fraternità messe in atto da singoli, gruppi, organizzazioni e stati.

Vera Baboon, prima donna sindaco di Betlemme, ha accolto la proposta di questo start, «Felice e orgogliosa, perché credo nella forza e nella capacità del dialogo proprio in una terra ferita dall’assenza di fraternità». Cristiana, docente universitario, vedova e con cinque figli, per quaranta minuti ha raccontato la sua esperienza di sindaco-donna e risposto alle incalzanti domande dei giovani presenti. Entusiasta sostenitrice del cambiamento e delle nuove generazioni ha ribadito più volte: «Sta a noi fare i passi per creare il nuovo. Per costruire i ponti servono tre cose: il coraggio, la buona volontà e la verità. Bisogna confidare in se stessi e credere che si può cambiare».

 

A conferma della novità che contraddistingue la sua amministrazione ha illustrato il progetto di un consiglio consultivo fatto da giovani che affiancherà quello eletto dalla città: martedì saranno scelti i 15 rappresentanti di questa originale assise. Per partecipare alla tornata elettorale sono 400 gli under 30 scesi in campo: 200 cristiani e 200 musulmani che si sottoporranno al giudizio delle urne, frequentate stavolta dai loro coetanei. Nel saluto conclusivo non poteva mancare un riferimento ai muri che circondano la sua città: “Il muro è stato costruito da mani d’uomo. Chi lo abbatterà? Mani d’uomo. Facciamo un vantaggio del non vantaggio e lavoriamo per un sogno comune: fare del mondo una casa comune dove gli uomini sono davvero una sola umanità. E i palestinesi sono questa umanità”.

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