Nella crisi non esistono soluzioni salvifiche

Enrico Giovannini è docente di statistica economica all’università Tor Vergata di Roma. Da Presidente dell’Istat ha promosso nel 2013 la pubblicazione del primo rapporto sul Bes, il “Benessere equo e sostenibile”, definito dagli studiosi «uno strumento di governance che potrebbe rendere più forti le democrazie che non crescono dal punto di vista economico»
Giovannini

Può esistere benessere in un Paese che non riesce a garantire un reddito ai suoi cittadini?

«Il benessere senza reddito è difficile, ma il reddito senza adeguato accompagnamento non necessariamente crea benessere a medio e lungo termine. Abbiamo bisogno di un approccio integrato per uscire dalla crisi. Da ministro mi sono battuto senza successo per introdurre il reddito minimo in Italia, come sostegno per l’inclusione attiva delle persone, come in Germania e in altri paesi europei, ma non abbiamo trovato i soldi. In Italia ci sono sei milioni di poveri assoluti, un milione e trecentomila sono bambini. Nelle giovani generazioni la crisi sta generando quello che gli economisti chiamano “effetto cicatrice”, cioè un effetto permanente che rischia di spingerli nella povertà anche se trovano lavoro. Con sette miliardi e mezzo si sarebbe annullata la povertà, ma i soldi sono serviti ad altre iniziative come il bonus di 80 euro».

Eppure per il Governo questo bonus dovrebbe incentivare la spesa….

«Non voglio polemizzare, ma una soluzione puramente monetaria non è sufficiente: bisogna prendere in carico le persone in difficoltà e obbligare i genitori poveri a mandare i figli a scuola, sostenerli per le visite mediche, perché in questa crisi non è il solo reddito che risolve il problema. In Italia ci sono straordinarie reti di protezione che hanno cercato di aiutare le persone in difficoltà, come il welfare familiare, ma anche questa caratteristica del nostro paese si sta esaurendo e bisogna trovare soluzioni più robuste e efficaci, oltre che sostenibili sul piano finanziario».

Che tipo di contributo possono dare le imprese sociali in questo contesto…

«Nel settore no.profit si realizzano cose straordinarie dal punto di vista dell’impegno e dell’innovazione, ma non possiamo nasconderci che “no-profit” non significa automaticamente “pro-benessere” e stiamo assistendo a tanti comportamenti scorretti come per le cooperative coinvolte in Mafia Capitale. Questo però ci deve spingere a tracciare regole chiare che possono accompagnare chi si sta avviando verso questa direzione creando nuove cooperative o imprese sociali, le quali, oltre che praticare questi valori, devono saper reggere sul mercato.  L’impresa sociale e l’impresa civile che vogliono andare al di là del risultato monetario, sono importanti, ma no bisogna dimenticare che anche le altre imprese e la pubblica amministrazione devono adottare criteri “civili”, che non vuol dire solo rispetto della legge, ma promozione dei valori, nonché rispetto dell’ambiente e delle persone, che fanno appunto un paese civile».

Guardando alla Grecia, l’economia si sta rivelando fonte di grande infelicità…

«L’economia è fonte di infelicità per chi nella battaglia della globalizzazione non ha trovato un posto adeguato, senza dimenticare che la globalizzazione può aver creato la crisi finanziaria del 2007, ma ha permesso a centinaia di milioni di persone di uscire dalla condizione di povertà estrema. Alcuni Paesi hanno affrontato meglio questo processo e altri meno. Chi ha costruito un debito elevato non riuscendo a investire sul futuro, su efficienza energetica e ambientale, innovazione e competitività ha sbagliato. Il problema greco avrebbe potuto essere risolto diversamente e in maniera molto meno penosa non solo per i greci, ma per tutta l’Europa. Quindi sono stati commessi degli errori, ma questa persistenza negli errori porta ad oscillare da una soluzione salvifica ad un'altra e poi ci stupiamo che nessuna di queste funzioni. E questo vale anche per l’Italia. Il nostro Paese aveva, alla fine degli anni ’90, un avanzo primario pari al 5 per cento del Pil. Se nel quinquennio 2001-2005 fosse stato mantenuto, il rapporto debito-Pil sarebbe sceso di molto e avremmo affrontato la crisi del 2009 in modo molto diverso. Purtroppo in quegli anni la spesa pubblica corrente è aumentata e si vendevano le case degli enti per finanziare le spese correnti: un errore gigantesco. Altri Paesi non si sono comportati così, ma hanno creato istituzioni e approcci moderni alla globalizzazione, preparandosi ad una competizione più difficile grazie all’euro, ma anche più facile perché una grande area economica come è l’Unione monetaria è più solida. Io in quegli anni ero a Parigi all’OCSE ed ero considerato un gufo perché sottolineavo questi aspetti. Serve recuperare la visione di lungo termine e la coerenza delle politiche oltre alla persistenza nel portarle avanti. Pensare però che le riforme, una volta fatte, valgano per sempre è un errore: le riforme vanno monitorate e se è necessario vanno corrette».

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