Nella crisi generalizzata (Evangelii Gaudium 50-52)
50-52 – Nella crisi generalizzata
Come notava Simone Weil, chi è abitato dal fuoco dell’amore divino si riconosce da come parla delle cose terrestri. È comprensibile la paura verso l’agire concreto di Francesco, papa che rompe troppe certezze scambiate per sacralità. Praticando quel discernimento esigente che egli ci invita a compiere, possiamo riconoscere in noi stessi la stessa radicata convinzione esibita dal laico Scalfari, esperto conoscitore dei salotti finanziari, quando afferma che la Chiesa cattolica ha potuto attraversare i secoli grazie all’alleanza con il potere mondano e che, pertanto, la povertà autentica la esporrebbe all’insignificanza e alla scomparsa. Alla radice, è la domanda che si poneva in versi David Maria Turoldo chiedendo: «Voglio saper se la Chiesa ha mai creduto che Cristo sia davvero risorto, e allora perché non rinuncia alle ricchezze per questa sola ricchezza di gioia?».
In questo momento della storia, Pietro richiede una Chiesa «accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade» piuttosto che una realtà malata di comodità, certezze e paura di sbagliare. Questo è il primo “segno dei tempi” da riconoscere davanti a quell’«eccesso diagnostico» (50) di tutte le emergenze riconoscibili: educativa, culturale, antropologica, ecc. Quando si inizia, in una comunità, a parlare della mancanza dei giovani da conquistare vuol dire che siamo alla fine perché non si coglie il grido di senso che proviene dalla «maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo» che «vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste» (52). Bisogna accettare l’insignificanza per entrare nella vita di tutti per amore, per solo amore: papa Francesco ha telefonato al bambino rimasto solo la domenica perché i genitori sono a lavorare nel centro commerciale.
Il papa non può far niente davanti al meccanismo autodistruttivo del legame sociale. Peggio di un parroco di periferia, incapace anche di chiedere una raccomandazione al direttore o al capocorrente di partito. La percezione in questi gesti, come quando ha incontrato i senza casa delle periferie romane, della «evidente inequità» non è un rimprovero della nostra evidente inadeguatezza ma l’annuncio possibile e gratuito di chi è venuto a strapparci dal non senso della morte per offrirci il centuplo su questa terra e la vita per l’eternità. Per questo motivo non si può vivere la scissione interiore tra lo spezzare il pane sull’altare e restare indifferenti al dramma dei senza casa e senza lavoro. Così, non si può affermare la cura e salvaguardia del Creato senza farsi carico delle continue aggressioni rivolte contro i beni comuni. Mazzolari, il grande parroco obbediente spesso silenziato dalla sua amata Chiesa, invitava a sfuggire alla tentazione di coloro che «credono di amare Dio perché non amano nessuno».
Ma scegliere costa. L’impegno sociale e politico è una consapevole scelta di parte che non si confonde con l’universalità aperta della propria fede. Il riconoscimento di questo limite impedisce al cristiano di cedere al tentativo di sacralizzare il potere reso, in questa epoca, «molto spesso anonimo» e quindi ancora più capace di umiliare la gloria di Dio che è, come sappiamo, l’umanità vivente.
Carlo Cefaloni
giornalista a Città Nuova, esperto di economia e lavoro