Nella caverna del cuore

Nel centenario della nascita, ricordiamo Swami Abhishiktananada, che lasciò la sua Francia per fare da ponte, in India, tra culture e religioni.
india

Swami Abhishiktananada era nato in Francia, come Henri Le Saux, e morì a soli sessantrè anni in un ospedale di Indore, nel Nord dell’India, lontano dal suo Paese che aveva lasciato nel 1948, ma anche da Shantivanam, l’ashram (luogo di meditazione, ndr) che aveva fondato nel profondo sud dell’India con l’Abbè Monchanin, di cui si era fatto discepolo.

 

Abhishiktananada è stato un personaggio straordinario, figlio di una Francia che negli anni precedenti ed in quelli successivi alla guerra aveva prodotto un gruppo di pensatori unici – Danielou, De Lubac, Congar – capaci di ispirare quanto il Concilio Vaticano II espresse nei primi anni Sessanta. Si trattava di un gruppo di geni che avevano saputo scrutare i segni dei tempi e capito che il cristianesimo avrebbe dovuto aprirsi ad un dialogo culturale e teologico, ma anche vitale, con le altre grandi tradizioni religiose. Ne prepararono la strada con riflessioni rivoluzionarie per il tempo in cui vivevano.

 

Le Saux, monaco benedettino, rispose a quella sfida seguendo un’ispirazione simile a quella che aveva guidato un altro grande francese sulle vie della mistica indù. Monchanin lo aveva preceduto in India e, con lui, Le Saux avrebbe fondato nel 1950 l’ashram di Shantivanam (luogo della pace), per dar vita ad un’esperienza monastica indù che coniugasse il genio monastico occidentale di Benedetto con quello dell’advaita indù di Shankara.

 

Iniziò un pellegrinaggi spirituale e fisico che portò il monaco francese ad un’esperienza di grande profondità a contatto con personaggi della mistica indiana come Sri Ramana Maharshi, morto poco dopo l’arrivo di Le Saux in Tamil Nadu. Nell’esperienza dell’advaita indù, Abhishiktananda ha individuato la possibilità di svelare il mistero della Trinità cristiana al mondo dell’induismo in categorie ad esso comprensibili. Il suo viaggio affascinante e tremendo ha toccato il confine della follia, ma gli ha permesso di arrivare a comprendere il mistero di Dio come un indù lo percepisce. «Nella mia guha (caverna) è la guha di Cristo. Nella guha di Cristo è la guha del Padre, nella guha del Padre, io sono», scriveva sul suo diario spirituale.

 

Nel 2010 si celebra il centenario della nascita di quest’uomo che ha avuto il coraggio di lasciare la sua terra per un’esperienza senza dubbio al di fuori del comune: un contributo prezioso all’incontro fra popoli e culture. Le Saux era amico di Raimund Pannikar, altro grande ponte fra culture e religioni, scomparso di recente.

 

In questi mesi si stanno svolgendo convegni su questa figura ancora troppo poco conosciuta in Europa ed in India. Lo scorso weekend, Camaldoli ha ospitato una di queste conferenze con la partecipazione di studiosi sia italiani che indiani e con la presenza di Bettina Baumer, austriaca, che visse l’esperienza di Shativanam per vari anni al fianco del profeta francese. «Essere con lui, vederlo, ascoltarlo era trovare ciò che cercavo. Meditare insieme a lui dava pace, gioia e pace irradiante. Era una presenza, una pienezza di gioia. Mi ha incoraggiato alla vocazione laica nel mondo. Non tutti sono chiamati al sannyasan, molti sono chiamati, una volta penetrato l’advaita, a diffonderlo nel mondo», ha raccontato Bettina ricordando la sua esperienza personale con Le Saux, morto nel luglio1973.

 

 

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