Nella casa di François Ozon
Italiani, come Razza bastarda, opera prima di Alessandro Gassmann – migliore a teatro che al cinema –, Passione sinistra di Marco Ponti (storia di passioni abbastanza consuete con i soliti Alessandro Preziosi e Valentina Ludovini), Sono un pirata, sono un signore di Eduardo Tartaglia (quattro italiani in una costa africana…), Nina di Elisa Fuksas (Diane Fleri, Andrea Bosca, Luca Marinelli… una Roma ad agosto…). Insomma, nulla di nuovo.
Va meglio all’estero. Attacco al potere di Antoine Fuqua, con Gerard Butler, Aaron Eckhart, Radha Mitchell ripropone l’ossessione americana di attacchi terroristici, stavolta nordcoreani, ovviamente. Si imprigiona addirittura il presidente Usa ma c’è il solito agente dei Servizi segreti che eroicamente si dà da fare. Azione, sparatorie, suspense, in un prodotto di genere ben confezionato e spettacolare. Per chi ama la fantapolitica, ma non troppo.
Il ministro, di Pierre Schoeller. La Francia sa prendere in giro, con il solito spiritello caustico, i suoi politici. Dei quali la gente non ne può più (evidentemente, non solo da noi in Italia). Il ministro dei trasporti Bertrand Saint-Jean (un bravissimo Olivier Gourmet) deve correre di notte perché un bus è precipitato in un burrone. Il fatto disinnesca una serie di avvenimenti attraverso cui il regista spia l’interno della politica con i suoi “inciuci” (tutto il mondo è Paese). Il ministro però è onesto, ma lo Stato divora quelli che lo servono… Arguto, intelligente e finissimo. Da non perdere.
Nella casa di François Ozon. Film quasi-capolavoro di introspezione psicologica, di surrealismo e di indagine nei meandri adolescenziali, e non solo. Claude ha sedici anni e un talento per la scrittura, il suo professore di Lettere lo incoraggia, fin troppo, perché il ragazzo si intrufola nella vita e nella casa di un suo amico, e poi ne descrive i comportamenti: veri, immaginari o desiderati? Il film gioca su questa ambiguità da cima a fondo, e sull’arte della formazione da parte degli adulti sui giovani. Il professore, dalla vita chiusa e borghese, diventa alla fine vittima dell’allievo e si insinua nel suo stesso gioco diabolico, di luce fredda e perfida. Inquietante e visionario, ma pure terribilmente vero, metaforico e anche morale, il film gioca su rimandi continui, sul vero/falso costante e lascia alla fine una profonda tristezza sulla capacità di penetrazione del male.