Nel voto contro il nuovo MES c’è molto euroscetticismo
Lo scorso 21 dicembre la Camera dei Deputati ha bocciato la riforma del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, più noto come “fondo salva Stati”. La riforma aveva avuto l’approvazione di tutti i Paesi dell’area euro (Italia compresa, da parte del governo Conte II).
Successivamente è stata ratificata dai parlamenti degli altri 19, salvo il nostro, che in questo modo ha bloccato l’entrata in vigore della riforma, per tutti. Una decisione grossa quella presa dai parlamentari di Fratelli d’Italia, della Lega e dei 5 Stelle, tre partiti che già in passato hanno avuto posizioni fortemente euroscettiche (come auspicare un’uscita dell’Italia dall’euro), ma che in seguito avevano assunto atteggiamenti più collaborativi verso le istituzioni europee.
Il MES è un’organizzazione internazionale, distinta anche se parallela all’Unione Europea, che ha lo scopo di sostenere finanziariamente gli Stati membri in caso di difficoltà temporanee, al fine di evitare che queste degenerino in vere e proprie crisi che danneggerebbero direttamente il Paese in questione e indirettamente anche il resto dell’Eurozona.
Per poter accedere ai prestiti del MES un Paese deve soddisfare varie condizioni di sostenibilità del suo debito pubblico, dopo di ché è previsto che sia tenuto sotto stretta osservazione fino al ripristino della stabilità finanziaria. In pratica, pur essendo il MES una forma di solidarietà tra i Paesi partner dell’Eurozona, ad ognuno di essi viene lasciata l’intera responsabilità di tenere in ordine i propri conti e di contenere i propri debiti, per poter essere un debitore affidabile.
La riforma prevede, tra le altre cose, un rafforzamento delle suddette condizioni di stabilità. Questo è uno dei punti più criticati della riforma. L’Italia – si dice – finirebbe per mettere le sue decisioni economiche nelle mani dei Paesi europei più forti, che se ne servirebbero per imporle una severa austerità.
Un altro aspetto della riforma molto criticato è che le risorse del MES sarebbero utilizzabili anche per finanziare il Fondo Unico di Risoluzione delle crisi bancarie. In questo momento delle sei megabanche poste sotto particolare osservazione due sono tedesche e due francesi, nessuna italiana. Da qui la conclusione che questa estensione dei compiti del MES sarebbe una furbizia di Francia e Germania per scaricare su altri il costo dell’eventuale salvataggio. Particolarmente esplicito è stato Marco Zanni, europarlamentare della Lega: «Non capiamo perché si debbano utilizzare i soldi dei cittadini italiani, di aziende, lavoratori, famiglie, per andare a salvare, per esempio, una banca francese o una banca tedesca» (la frase, espressa dopo il voto, era stata largamente usata durante tutto il dibattito).
È opportuno precisare che il Fondo Unico di Risoluzione è primariamente alimentato da una contribuzione del sistema bancario e che solo in caso di necessità e di urgenza interverrebbe il MES, con un prestito di durata limitata. Resta vero, aggiungerei poi, che domani ad aver bisogno di un salvataggio potrebbero essere anche le nostre banche, e che spegnere l’incendio in un appartamento è utile a tutto il condominio.
La questione è complessa, perché complesse sono le clausole del MES e così pure le circostanze a cui dovrebbero applicarsi. È naturale quindi che vi siano diversità di vedute se davvero la riforma renda il MES più adatto a garantire stabilità ed equità.
I cambiamenti, comunque, non sembrano tali da rendere pericoloso il meccanismo – questa naturalmente è un’opinione. Sappiamo che nessun accordo di compromesso può essere perfetto e corrispondere alle preferenze di ciascun partner; è sufficiente che sia accettabile e che costituisca un seppur piccolo passo avanti. Tale è – anche questa è un’opinione – la riforma del MES, che attende solo di diventare operativa, facendo proseguire il processo di integrazione europea.
Avere un’opinione diversa è ovviamente legittimo, ma nella frase che ho citato più sopra leggo una forte animosità verso i nostri partner del cammino europeo, che è l’unico grande progetto che può dare a tutti i suoi cittadini, e quindi anche agli italiani, un po’ della tanto desiderata “sovranità” in una scena mondiale dominata da vecchi e nuovi giganti. Non voglio certo elevare Francia e Germania al rango di disinteressati custodi del bene dell’Unione, ma da dove pensiamo che vengano i famosi 200 miliardi concessi all’Italia dal Next Generation EU (da noi più noto come PNRR), di cui 70 a fondo perduto e il resto prestato a condizioni di grande favore, se non dai “soldi dei cittadini … aziende, lavoratori, famiglie” europei, e soprattutto – dato il loro peso sul totale – tedeschi e francesi?