Nel volto del più piccolo
La nostra congregazione, Suore Francescane dei Poveri, fondata nel 1845 dalla beata Francesca Schervier ad Aquisgrana (Aachen), è chiamata a scorgere nel volto dei poveri e dei bisognosi il volto del Cristo stesso.
L’incontro tra la nostra famiglia religiosa e il Movimento dei Focolari avviene agli inizi degli anni ‘70. In quel tempo, poco dopo il Concilio Vaticano II, la vita consacrata vive un momento di disorientamento e la nostra congregazione non ne è risparmiata. Una di noi, per una circostanza provvidenziale, incontra sul suo cammino un membro del Movimento. Dopo un breve colloquio avverte nascere dentro di lei una nuova speranza, una luce che le dà la spinta a ricominciare, partendo dal Vangelo. Le parole di san Francesco: “Nostra unica regola è il Santo Vangelo”, le risuonano come una nuova chiamata: la Parola vissuta crea vita attorno a lei e la comunità stessa ne rimane contagiata.
Un nuovo volto di Dio
In quello stesso periodo Dio mi raggiunge attraverso la mediazione del mio parroco, un religioso salesiano del Movimento dei Focolari. Forse questo religioso coglie la sete di Dio che mi abita, di un Dio a cui chiedo concretamente di dar risposta al mio dolore e allo smarrimento per la morte di mio padre.
Nonostante l’età, con l’entusiasmo contagioso che lo caratterizza, mi trasmette, attraverso piccole esperienze quotidiane, il suo amore a Gesù crocifisso e abbandonato, “il suo segreto”, come lui lo chiama. All’inizio non capisco molto bene come viverlo, ma intuisco che si tratta di una rivoluzione, rispetto a quanto fino ad allora avevo ascoltato al catechismo. Il volto di Dio che conosco allora è quello di un Dio vicino, un Dio Amore che è morto per me.
Un giorno, insieme con una mia amica, il religioso m’invita ad un incontro del Movimento dei Focolari. Nonostante le difficoltà che incontro, soprattutto in famiglia, supero tutto, con una forza e una decisione mai sperimentata prima, e riesco a partire con la mia amica.
Arriviamo sul posto e respiriamo un’aria di festa e di gioia. Mi colpisce e affascina la numerosa presenza di giovani, adulti, bambini, sacerdoti, religiosi, religiose, disabili, persone di tutte le estrazioni sociali… Mi trovo davvero di fronte a una realtà nuova, mai immaginata. Capisco che tutti possono vivere quel modo di essere cristiani. Certo, non comprendo subito tutto, ma una cosa mi è evidente: anch’io mi sento felice, serena, ho trovato risposte ai miei perché e sono pronta a lanciarmi nella nuova avventura. Anch’io voglio vivere facendo della Parola di Dio la stella e la forza di ogni mio passo. Riparto da quell’incontro custodendo il mio segreto. Ho trovato la perla preziosa della mia vita: Gesù Abbandonato.
È proprio in questo momento del mio cammino che incontro le Suore Francescane dei Poveri, giunte al mio paese per una missione popolare. Il loro stile di vita, il modo di rapportarsi tra loro e con la gente mi fanno scoprire la comunione e la condivisione che loro già vivono con il Movimento dei Focolari. Mi colpisce la freschezza e la bellezza del loro modo di vivere e comunicare la Parola di Dio.
Davanti al portone
Dopo qualche anno entro a far parte della loro famiglia. Durante il tempo della formazione imparo a conoscere, approfondire e amare il carisma della beata Francesca Schervier: “Sanare le piaghe di Cristo Crocifisso nell’umanità povera e sofferente”, mentre il carisma di Chiara Lubich mi aiuta a comprenderne la bellezza e l’attualità. “Qualunque cosa hai fatto al più piccolo dei miei fratelli l’hai fatto a me” (cf. Mt 25, 40) ci ricorda nei suoi scritti la nostra fondatrice: così c’impegniamo a far circolare tra noi la carità e la misericordia reciproca che scaturisce dal rapporto con Gesù crocifisso ed abbandonato, e riceviamo la spinta a ricominciare e a vederci con occhi nuovi.
Finito il noviziato, insieme ad una mia compagna, parto subito per una nuova comunità. Nonostante l’entusiasmo e la voglia di sperimentarmi e crescere, avverto profondamente il dolore del taglio con le persone con le quali ho condiviso la vita in quegli anni di luce e di grazia.
L’inserimento nella nuova comunità non è facile. In particolare trovo difficile il rapporto con una sorella. Spesso è necessario convivere con i suoi alti e bassi e la sua facile irascibilità. Non mi sento accettata e faccio fatica a comunicare con lei. Questa situazione mi procura tanto dolore e non riesco a sbloccarmi. Una sera al ritorno da un incontro con i giovani, dopo una giornata particolarmente difficile in comunità, arrivo davanti al portone di casa ed ho una fitta al cuore; ho la sensazione di non riuscire ad entrare. Resto ferma lì per alcuni minuti con le lacrime agli occhi, dico a me stessa: “Anche in questo dolore c’è Gesù crocifisso ed abbandonato”. È naturale aggiungere: “Ti riscelgo come mio tutto, ed è solo per te che apro questo portone”.
Da quel momento provo a non scappare via dalla difficoltà, ma cerco di guardare con occhi nuovi la sorella, cogliendo tutte le occasioni per amarla: l’attendo quando torna dal lavoro, in modo che non sia sola a pranzare; cerco di interessarmi a lei, alle sue attività, a ciò che la preoccupa.
Pian piano anche lei comincia a chiedermi come sto, come va la scuola, il lavoro con i giovani. Percepisco fortemente che il mio atteggiamento scioglie i suoi pregiudizi e la rende più disponibile e più serena. Nasce un rapporto di reciproca fiducia che le permette di sentirsi libera di comunicare le sue difficoltà e preoccupazioni e che crea tra noi una gara concreta di carità. Ringrazio Dio per l’esperienza vissuta in quell’anno, la considero una vera palestra di vita.
Costruire l’unità con tutti
L’incontro con il carisma di Chiara Lubich mi mette in cuore, fin dall’inizio, un forte desiderio di costruire con tutti rapporti d’unità. Come religiosa avverto che Dio mi chiede di costruire rapporti di comunione con le varie congregazioni attraverso le religiose che ho modo di incontrare. Negli anni in cui svolgo il servizio di formatrice nella mia famiglia religiosa conosco tante religiose impegnate nella formazione. La Scuola intercongregazionale per le novizie, i convegni annuali o anche quelli per le formatrici, sono occasioni per scambiarci esperienze, per confrontarci sui contenuti formativi, per condividere le difficoltà come pure le gioie, le conquiste e le speranze. Questi momenti di comunione e di unità scaturiscono da gesti nati dal desiderio profondo di incontrare l’altra, vissuti attraverso la semplicità di un saluto, di un’informazione da chiedere ecc.
Con tante famiglie religiose ho modo di organizzare, al di là dei momenti canonici della Scuola, delle giornate mensili nei vari noviziati per stare insieme e poter andare più in profondità nella conoscenza dei vari carismi. Per la comunione che si costruisce è spontaneo condividere la gioia dei momenti più importanti della vita di ognuna. Ci ritrovavamo numerose alle professioni religiose o a eventi significativi delle rispettive congregazioni, come la festa della fondatrice. Si avverte in tutte una nuova apertura, si prega le une per le altre, si portano in cuore le opere delle altre come le proprie con le fatiche e le gioie che comportano. Personalmente questa esperienza mi ha lasciato dentro molta gioia e speranza.
Cioccolata e peluche
Per un periodo vivo anche a Padova, in una comunità per l’accoglienza di ragazze straniere vittime di tratta, a contatto con donne sfruttate e non amate, donne smarrite, impaurite che hanno perso l’identità. Accanto a loro imparo quanto l’amore debba essere discreto, ma anche creativo attraverso gesti, sguardi e sorrisi che diventano spesso modi per comunicare o entrare nel loro cuore ferito.
Un giorno ci viene segnalata una minorenne di origine rumena, alquanto ribelle e difficile, scappata di casa. Lei non parla l’italiano. Quando arriva, mi trovo di fronte una ragazzina di diciassette anni, con uno sguardo triste ed impaurito, che abbraccia un piccolo peluche. L’accompagno in camera, cerco di farla sentire a suo agio e l’aiuto a sistemarsi. Poi le offro qualcosa da mangiare, ma è talmente abbattuta che per tutto il giorno mi ripete di non aver fame. Allora, cerco di pensare al suo stato d’animo, immagino che le potrebbe piacere della cioccolata e gliela preparo.
È impossibile descrivere la sua espressione quando arrivo in camera e gliela offro! Mi siedo accanto a lei sul suo letto e incontro il suo sguardo: i suoi occhi tristi implorano aiuto e comprensione. Iniziamo a parlare e pian piano, in un italiano stentato, mi racconta la sua storia di povertà e sofferenza. L’indomani continuo ad andare a trovarla in camera sua. È sempre avvinghiata al suo peluche e insiste nel rifiutare il cibo. Le chiedo di seguirmi in cucina e mi accorgo che solo se le resto accanto riesce a mangiare qualcosa.
Fin da subito avverto che tra noi è scattato un rapporto di fiducia, si è affidata e si è lasciata amare. Nei pochi giorni trascorsi con noi ha modo di pensare molto alla sua vita e decide di ritornare in Romania. La mattina della sua partenza, mi chiede il nome. Ciò mi incuriosisce, ma vado di fretta e mi posso fermare con lei solo pochi minuti. Arriva l’ora dei saluti e avverto un po’ di dispiacere per non avere avuto un po’ più di tempo per stare con lei.
La sera entro nella sua camera e, con mia grande sorpresa, vedo sulla scrivania il suo amato peluche ed accanto un foglio piegato per me. Lo leggo e mi commuovo profondamente: mi ha lasciato il suo peluche e una letterina, dove mi ringrazia per esserle stata accanto. Ho così la conferma che l’amore l’ha raggiunta, donandole la forza necessaria per ripartire e ricominciare. La lettera si conclude con: “Non mi dimenticare”. Sono parole che porto nel cuore, come un impegno ad affidarla continuamente a Dio, affinché la sostenga e la illumini nelle sue scelte.
Oggi, qui a Roma, cerco di continuare questo cammino di comunione e di unità con le sorelle e i fratelli che Dio mi mette accanto. Con ciascuno desidero condividere la gioia e la pienezza del vivere la sua Parola e sperimentare il suo Amore.