“Nel suo Stabat il mio andare”

L'esperienza di Maria, che si apre alla maternità universale quando "perde" Gesù e "prende" Giovanni come suo figlio, continua in chi segue il suo cammino. Un esempio di pastorale delle famiglie separate.
Lo "stabat" di Maria

La Madonna ai piedi della croce ha cooperato in modo tutto speciale alla missione redentiva di Gesù, associandosi al sacrificio di lui, pur costretta ad assistere senza poter dargli alcun aiuto.

Ho sempre capito come può imitarla, ad esempio, una persona animata dallo spirito apostolico che viene a trovarsi immobilizzata in un letto, senza poter fare altro che offrire il suo dolore.

Da Anagni a Roma

C’e stata una circostanza nella mia vita in cui una meditazione di Chiara mi ha aiutato a capire un’altra sfumatura dello “stare” di Maria desolata, sfumatura molto importante per noi consacrati.

Dopo quasi trenta anni trascorsi nel Seminario Regionale di Anagni con diversi incarichi, dovendo cessare il servizio della Compagnia di Gesù presso quella istituzione, venni destinato alla Cappella dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Ad Anagni il mio impegno principale era all’interno del seminario, ma non mancavano le occasioni di contatto con i fedeli, sia in città, sia nei paesi vicini, e con molti si era stabilito un rapporto di fiducia e di accompagnamento spirituale.

Partire non voleva dire dimenticare quelle persone, che certamente sarebbero rimaste nel mio cuore e nelle mie preghiere. Ma partire comportava, di fatto, l’impossibilità di mantenere concretamente lo stretto rapporto spirituale che si era creato. Anche perché nella Compagnia ho imparato che, quando uno è destinato ad un nuovo incarico, è bene che si dedichi completamente alla nuova missione, lasciando ad altri il compito di coltivare il campo affidato non più a lui, ma a loro.

In quella occasione mi hanno dato una luce nuova alcune parole della meditazione di Chiara Ho una sola madre sulla terra:

“Ogni distacco dal ben che ho fatto

un contributo a edificar Maria.

Nel suo Stabat il mio ‘stare’

Nel suo Stabat il mio ‘andare’”1.

Mi era già chiaro che cosa significasse “Nel suo Stabat il mio ‘stare’”, ma non capivo “Nel suo Stabat il mio ‘andare’”. Sono state le parole precedenti che me lo hanno fatto capire: “Ogni distacco dal ben che ho fatto / un contributo a edificar Maria”.

Maria, oltre alla missione di essere madre del Figlio di Dio, aveva anche quella di essere madre di tutti gli uomini. E, come ogni maternità si realizza in un progressivo distacco, così fu proprio nel distacco da Gesù, che morente sulla croce le affida Giovanni, che si manifestò e realizzò in pienezza la sua missione di essere madre di tutti gli uomini.

Maria passa la prova di non essere più la madre di Gesù. Le veniva chiesta come una sostituzione: le veniva affidato non più il Figlio di Dio, ma il figlio di Zebedeo, Giovanni. In qualche modo rinunciava alla maternità del primo Figlio e solo così acquistava la maternità spirituale di tutti.

Se volevo essere un’altra Maria, se volevo essere madre e padre di anime, dovevo saper vivere un simile distacco. Ecco come il mio “andare” si identificava con il suo “stabat”: il distacco dal bene fatto mi faceva simile a lei, partecipe della sua maternità spirituale. Questo, pur nella sofferenza della separazione, mi ha dato fiducia, coraggio, serenità.

In mezzo ai giovani

Arrivato a Roma ho potuto incarnare in qualche modo l’amore materno di Maria. La Cappella Universitaria è molto frequentata da studenti “fuori sede” che, lontani dalla famiglia, hanno bisogno di trovare un ambiente sereno e accogliente che dia loro affetto e sicurezza.

Le mie giornate passavano quasi esclusivamente in colloqui e nelle confessioni, in cui, come Chiara ci ha insegnato, cercavo di “farmi uno” con ciascuna persona. Era tutto un lavoro di distacco da me stesso. Ho sperimentato quanto fosse essenziale partire dall’ascolto attento e paziente, che non si scandalizza di nulla, che tende più a scusare che a colpevolizzare, che non interrompe, che non dà precipitosamente una risposta, prima che l’altro abbia esaurito completamente il suo discorso.

Fare il vuoto, sforzarmi di capire le ragioni o almeno le esigenze dell’altro, senza lasciarmi condizionare da precomprensioni o principi astratti, facendomi uno con chi mi stava davanti, con le sue gioie, le sue sofferenze, le sue paure, le sue speranze. Chiedevo l’aiuto dello Spirito Santo e l’aiuto di Maria per trovare le risposte giuste, non sempre evidenti, ragionando insieme, affinché l’altro non si trovasse davanti ad una soluzione imposta dall’esterno, ma si sentisse aiutato a trovarla lui stesso dall’interno.

Imparai a saper aspettare, perché solo quando l’altro aveva svuotato completamente il fardello delle colpe, dei dubbi, delle preoccupazioni, poteva accogliere nel suo cuore la luce e la grazia del Vangelo. Rispettavo sempre le opinioni dell’altro, cercando non tanto di convertire, ma di amare, senza esigere più di quanto l’altro avrebbe potuto dare. Così le persone si sentivano amate, si aprivano alla verità, ritrovavano serenità e fiducia. Così tanti studenti hanno potuto ritrovare o approfondire il loro rapporto con Dio e affrontare serenamente i problemi di ogni giorno.

Con i coniugi separati

Dopo quattordici anni, i superiori hanno ritenuto bene destinarmi alla comunità della Chiesa del Gesù, sempre a Roma. Non ho voluto neanche domandare il perché. Probabilmente era necessario che con i giovani ci fosse non un ottantenne, ma una persona più vicina alla loro età. Si è trattato di un nuovo “andare” che non è stato indolore, né per gli studenti, né per me. Ma è stato molto sereno perché “Ogni distacco del bene che ho fatto, un contributo a edificare Maria”.

E anche questa volta si sono visti i frutti. Avendo molto tempo a disposizione, mi sono dedicato ad un altro ministero, oggi molto importante: la pastorale delle famiglie separate. In un primo tempo con l’associazione “Famiglie separate cristiane”, ispirata anche alla spiritualità dell’unità e in un secondo tempo anche con il Movimento “Famiglie Nuove”, una diramazione del Movimento dei Focolari rivolta al mondo della famiglia, collaborando ad incontri internazionali.

Non avrei mai potuto immaginare l’abisso di dolore che nasce dall’esperienza della separazione dei coniugi che si trovano ad affrontare gravi problemi e situazioni spesso insostenibili, sentendosi spesso emarginati e giudicati.

Un po’ alla volta ho capito che per aiutarli ci vuole una sensibilità particolare, una competenza specifica e soprattutto, un’esperienza diretta. Ho potuto costatare quanto gradiscano un sostegno umano e spirituale, sia nei colloqui personali, sia negli incontri e attività di gruppo.

Credo di avere colto anche il motivo del mio trasferimento. Se fossi rimasto alla Cappella Universitaria non avrei avuto certo il tempo per dedicarmi così ampiamente alle famiglie separate. D’altra parte, di pastorale giovanile ci sono tanti che si occupano egregiamente.

Invece, quando ho incominciato nel 2001, ben pochi si dedicavano alla pastorale delle famiglie separate e il problema veniva quasi ignorato. Ci voleva qualcuno che se ne occupasse a tempo pieno. Dove c’è una famiglia separata c’è bisogno di offrire una paternità e maternità spirituale, di timbro mariano, che dia affetto, sicurezza e fiducia.

Maria mi aveva preparato per intraprendere questa strada. Sono contento di poter dedicare a questo ministero gli ultimi anni della mia vita.

 

NOTE

1 Cf. articolo di A. Sgariglia in questo numero, p. 15.

 

 

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