Nel “Sognatoio” di Ludovico Peroni
Uno dei lavori discografici del 2020 che hanno meritato grande attenzione è Il Sognatoio, opera di esordio del giovane compositore marchigiano Ludovico Peroni, pubblicato dall’etichetta giapponese Da Vinci Classics. Una experimental opera in 9 scene che nasce come composizione musicale ispirata al tema della Shoah (la partitura ha ricevuto il premio “Teatro Musica e Shoah 2017) intessuta da un testo poetico di Filippo Davoli.
“Sognatoio” è una stanza chiusa da una porta misteriosa all’interno di un campo di concentramento, un luogo/non luogo dove è incerta la sorte di chi vi arriva. Come racconta lo stesso compositore. «Ho scoperto la parola Sognatoio (introvabile sui dizionari), citata in un documentario sulla Shoah del 1955 (Nuit et brouillard) del regista Alain Resnais. È una parola che non esiste, ma che in qualche modo riesce a trattenere, tenacemente, le tracce di una speranza disperata».
La composizione utilizza forme di linguaggio sonoro tra le più variegate e che testimoniano l’ecletticità “organica” di Peroni. Organica nel senso che non è un modo del compositore di mostrare i suoi gusti raffinati e ricercati; è piuttosto una autentica restituzione dell’humus musicale dentro il quale Peroni è cresciuto: dal rock progressive al jazz , all’ elettroacustico contemporaneo, dalla musica aleatoria al Soundpainting e alla Conduction (una sorta di composizione istantanea guidata dal gesto del direttore). Tecnica, quest’ultima (derivata dai compositori americani Walter Thompson e Butch Morris) che Peroni padroneggia con convincenti risultati insieme ai musicisti della QRO (Quick Response Orchestra) e al clarinettista José Daniel Cirigliano.
Con quest’opera Peroni è riuscito a raccontare un soggetto serio, drammatico e lacerante con i toni coloriti della leggerezza, ovvero l’ironia, la maschera, lo sberleffo, la sorpresa, il sovrapporre piani psicologici opposti.
Tutto questo ha precise corrispondenze stilistico-musicali nell’utilizzo del materiale, e si rimane sempre sorpresi dalle sonorità. Non c’è modo di “inscatolare” lo stile compositivo di Peroni, per cui si trascolora dalla musica elettronica d’avanguardia alla ballada per piano solo, o ad un surreale contrappunto – come nel terzo brano Nascondino coi fiori –, dove ascoltiamo la voce di Hitler e il solo del clarinetto (che richiama momenti alti della filmografia dedicata alla tragedia nazista); oppure nel Pupo di Bestia realizzato su un energico pedale ritmico dal sapore di Electro Acoustic Band anni ’80 e Intermezzo, scandito da parossistici tocchi di campanello (grazie all’elaborazione elettronica di Riccardo Chinni) a sottolineare sinistri annunci di morte.
Ascoltando il lavoro dall’inizio alla fine siamo catturati da una drammaturgia che riesce a liberare la nostra percezione e condurci in un viaggio (un labirinto?) nel profondo di noi stessi. Un’esplorazione dei sentimenti che non è riflessione puramente intellettuale ma esperienza sincera e che non tralascia il “dolce amaro”, come in Notte e Nebbia dove ascoltiamo l’elaborato di una registrazione degli anni ’30 dell’inno ebraico Hatikvah cantato da un coro di bambini.
«Da piccolo giocavo alla morte…Tutto è fatto per bene nella vita…se leghi il filo lungo degli eventi, ti appare un luminoso quadro che rimanda al meglio che verrà…». La voce terrosa di Filippo Davoli ci consegna un messaggio di speranza, ed è anche il timbro di quest’opera, godibile su diversi piani di significati e di esperienza. Il Sognatoio appaga chi, amante della stratificazione, pone incessantemente domande ad un oggetto artistico.
E quella sedia vuota nella cover, opera dell’artista spagnolo Ignacio Llamas, che evoca solitudine, straniamento, aspetta di essere vissuta. Autenticamente.
«Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi». Questa frase di Cesare Pavese ci mette nella giusta disposizione a continuare la giornata della Memoria appena celebrata. L’opera musicale di Ludovico Peroni è più di un attimo.