Nel “Pozzo del passato”

La giornata era limpida – sferzato com’era stato il cielo, tutta la notte! – pulita dal vento tempestoso che aveva mugghiato alle finestre. Cielo di certo non di piena estate, com’era in realtà, ma portatore d’una luce quasi di primavera, frizzante e giovane. Davanti, il mare. In giorni siffatti non si fatica a credere ai greci che lo volevano dimora d’un dio: pulsante un’energia che lo solleva ritmicamente come un gigantesco plesso solare; lo guardo e so quanto è stupido non vedere viva tutta questa forza. Ad un tratto l’aria si riempie d’una strana tensione: i bambini che s’avvicinano ai cavalloni frangentisi sul bagnasciuga fremono di autentica paura di fronte a quegli schizzi, a quei botti, a quel sovrumano mugghiare; una paura strana appena trattenuta, che riesce ad evocare anche in me lo stupore e l’estatica, terrifica bellezza d’una scena mitica. Fu così che mi rividi bambino e risentii nelle nari l’odore del mare della mia infanzia e riassaporai i colori del sogno, di quel dono dell’Altrove di cui i bambini son memori, ma non gliene importa. Era il sogno di tutta la nostra civiltà, il fondamento mitico di tutta la nostra cultura di indoeuropei, semiti o fenici o greci o barbari : comunque uomini in continuo esodo. Era il termine d’un era, all’indomani od alle porte d’un immane sconvolgimento naturale, Atlantide, forse, o Lemuria, Troia o Pompei, Sodoma o Gomorra, ed un popolo intero, su una spiaggia infinita di fronte ad un sole abbagliante attende di salpare. Tutto qui. Nel sogno di un bambino di cinque o sei anni è iscritto il patrimonio di tutte le nostre storie, di quelle che dall’alba dell’uomo si raccontano, quelle che in noi sono la voce dell’eterno e del destino; ed ogni uomo è un destino ed in lui si ricapitolano la storia ed il cosmo. Questo ho visto nel pozzo del passato. (1) Vi ho trovato la mia ombra ed essa mi ha detto di passare oltre: star davanti o stare dietro a sè stessi non è infatti la stessa cosa: il mito può essere maschera per conservare pietrificata in un incantesimo impossibile, una certa intuizione della verità, oppure, letto in trasparenza dall’Anima che ne è interprete, sfondare in una prospettiva dove ogni ritrovamento è foriero di nuove scoperte, nuovi significati e nuove dimore, da abitare in fraternità con gli uomini e le cose. Poi arrivano le mamme, le grida si compongono a stento, e i bambini, non potendo far altro, quei gabbianotti si acquattano sul bagnasciuga, al limitare degli schizzi e degli scoppi. E giocano a qualche gioco che da sempre, in qualche modo, ripaga e ripara l’uomo timoroso di fronte al cosmo. 1) Il riferimento è a Profondo è il pozzo del passato. Non dovremmo dirlo insondabile?, il famoso incipit della monumentale trilogia di Giuseppe e i suoi fratelli, composta da Thomas Mann tra il 1926 e il 1942.

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