Nel perdono il futuro
Biserka sa cosa sognano i suoi quattro bambini ogni notte, quando il buio sembra ancora più tetro perché là, dietro l’oscurità, ci sono la paura e lo sgomento di una guerra atroce. Biserka conosce il loro respiro profondo e quieto. Forse stanno sognando la loro casa sul mare, vicino a Sebenico, e i giochi festosi con papà Tino che invece ora sta combattendo al fronte. Ma Biserka, preoccupata, è insonne: non ha più un denaro per acquistare da mangiare. Le ore si rincorrono inesorabili fino alla recita della preghiera di tutti i figli: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Solo allora sente una gran pace scendere sulle palpebre brucianti di dolore e d’incertezza. Non ha più nulla per sfamare quei figli, ma il loro padre, che è il Padre, ci penserà. E all’alba, ecco un trillo: una vicina ha bisogno di indumenti che Biserka ha conservato fra i capi del loro vecchio negozio. La signora può pagare quell’acquisto straordinario e Biserka fa il conto che la cifra le basterà per alcuni giorni, per il pane. Quando lei e suo marito varcano la soglia della sala che ospita un meeting per famiglie, in Italia, nessuno immagina cosa potrà suscitare il racconto della loro esperienza. Colpisce il viso buono di Tino e la sua imponenza, quasi a protezione della snella figura di Biserka. Solo dopo questa breve introduzione, che riporta agli anni truci della recente guerra in Croazia, Bosnia ed Erzegovina, e alla fede che ha accompagnato la disperazione e la speranza, il loro racconto si inoltra nella straordinaria esperienza di una famiglia a cui la vita ha fatto sperimentare il confine tra cielo e terra. Qualche anno fa Stipe, il primogenito di Tino e Biserka, concluso l’anno scolastico, si reca dai nonni in bicicletta. Li aiuterà, ora che è libero da impegni di studio, con tanto tempo da dedicare anche agli amici con cui condivide sogni e ideali. Pedalare poi nel vento fresco del mattino, in una giornata luminosa, gli dà quello sprint che illumina gli occhi dell’adolescente di un luccichio nuovo, come nuovo è il cuore di chi si apre alla vita con slancio e fiducia. Poi il buio di uno schianto perpetua quella luce in una sfera fatta di silenzio e di amore. Resta il sorriso di un giovane che ha fatto della sua vita una ricerca d’infinito. Se viviamo per Iddio, rimaniamo uniti, diceva Stipe. Un programma di vita. Ora papà e mamma sono lì vicino a lui e sperano che possa essere a loro risparmiato tanto dolore, quello del distacco definitivo da quel sorriso e da quegli occhi intrepidi, da quell’abbraccio che ha dato vigore ai giorni. Offrono in cambio la loro vita. Poi invece l’epilogo. No, non l’epilogo di una vita. Solo la conclusione dell’avventura terrena di un giovane che ha fatto della sua vita una ricerca d’infinito. Mamma e papà a quel capezzale chiedono perdono e benedicono dignitosamente il loro figlio. La sala gremita di famiglie ammutolisce e se ne capisce la ragione: in un momento come quello i genitori piangono, si disperano, si chiedono il perché, forse chiedono a Dio di rispondere al loro strazio! Tino e Biserka hanno scelto un altro gesto: benedire il loro figlio morente. Ma tutti i presenti sono sintonizzati con quell’eroismo e percepiscono la fonte della forza di quella scelta. In ospedale, attorno a quei momenti che sanno di sacro, si affollano i cuori di coloro che stanno condividendo la sofferenza di quella famiglia, ma anche i pensieri di coloro che forse non comprendono, che non riescono a condividere quel volo alto. Ma per loro l’offerta degli organi di Stipe, perché altri possano tornare a vivere, sembra far luce sul mistero del dolore e indicare uno spiraglio per leggere il senso di quel dono totale. In quei giorni, infatti, attorno alla famiglia di Stipe tanti ascoltano e vedono, capiscono e scoprono un’altra realtà, che sa dare le risposte tanto attese, anche in mezzo ad una guerra assurda, anche di fronte alla morte. Sono cinquemila quelli che si mettono in processione ad accompagnare il loro amico, dietro le camicie bianche dei genitori e dei fratelli di Stipe, che scelgono quel colore come una bandiera di pura speranza. Uno strano giorno, quello successivo al funerale di Stipe: Biserka, Tino, Filip, Ivan, Grgur e Bozidar hanno ospiti a casa loro. Eppure avrebbero bisogno di pace e di riservatezza.Ma l’ospite è particolare: è l’uomo che, guidando in stato d’ebbrezza, ha ucciso il loro figlio. È un uomo che dovrà lasciare il lavoro a causa dell’incidente. È un uomo distrutto per quello che ha fatto. Biserka e Tino perdonano. Perdonano e basta, senza aspettarsi niente in cambio, amandolo per quello che è stato e per quello che sarà. Loro poi seguiranno il ravvedimento di quell’uomo nel tempo, fino ad un cambiamento totale del suo stile di vita. Un amico sacerdote, reduce dalla violenza della guerra commenta: Il futuro del nostro paese ferito è nel perdono.Voi mi avete convinto che questo è possibile. Biserka e Tino… Nella sala dell’incontro palpita un pezzetto di Croazia, paese ancora lacerato, ancora sofferente perché le ferite sono lunghe a rimarginarsi; occorre la vita di tanti, la speranza, la tenacia e la fiducia di un popolo. La sala è piena del silenzio dei presenti. Essi chiudono empaticamente la loro partecipazione fra le mani umili e ricche di due sposi che hanno fatto un lungo viaggio per dire che è possibile il coraggio per chi non vuole vivere da solo e vuole condividere con altri la propria vita in un cammino di solidarietà.