Nel pensare (e vivere) l’amore
C’è un missile che deve portare in orbita un satellite. Se tutto procede bene, la potente spinta del propellente lo allontana dalla terra e il missile, salendo e perdendo successivamente i suoi pezzi, si autodistrugge ma giunge a posare il satellite sano, salvo e funzionante, nell’orbita giusta. Se il missile, autodistruggendosi, distruggesse anche il satellite, tutto fallirebbe; se il satellite pretendesse di portare in orbita il missile, fallirebbe; se missile e satellite si credessero un tutt’uno, neppure potrebbero partire oppure si autodistruggerebbero entrambi in viaggio; se il missile volesse partire da solo, non porterebbe niente e si autodistruggerebbe invano; se il satellite volesse partire da solo, evidentemente non potrebbe, o magari, facendo un saltino e ricadendo, riuscirebbe solo ad ammaccarsi o incrinarsi mettendosi fuori uso. In qualsiasi modo missile e satellite non accettassero di distinguersi l’uno dall’altro, renderebbero vana la propria e reciproca missione. Chiamiamo il missile innamoramento e il satellite amore. Ogni giorno una gran parte dell’umanità sperimenta la disfatta del loro cattivo o sbagliato rapporto. L’innamoramento è un forte propellente e un missile, una spinta decisa della natura a mettere in orbita l’amore. Ma guai a scambiarlo con l’amore. E guai a scambiare l’amore con l’innamoramento, pretendendo Romeo e Giulietta a novant’anni; se un tale rapporto regge, malgrado le apparenze non regge per il romanticismo adolescenziale tardivo, a meno che i protagonisti attempati non si accontentino di una recita sognante da parte di due solitudini; oppure, ed è il caso migliore, resiste quell’innamoramento romantico ma sul fondamento di un amore maturato. Sì, il romanticismo stesso è un’ideologia codificata tardi ma nata e cresciuta nel medioevo germanico e poi dilagata in quello europeo, come ben sanno il giovane Dante, Shakespeare e i molti autori di amore e morte tra fine Settecento e Ottocento, fino a Wagner e oltre. L’ideologia consiste nel costringere l’amore (apparentemente è il contrario, l’amore sembra dilatarsi inarrestabile) nella camicia di forza della passione senza rimedio e senza buon fine: è l’amour fou, folle, appunto. Hollywood poi ha ancor più popolarizzato e purtroppo banalizzato questo amore romantico, riducendolo in molti casi a storiella per tutti i gusti. Ma poiché, a parte Hollywood e successive peggiori derive, questo è uno dei drammi dell’umanità odierna, la banalizzazione e al tempo stesso la assolutizzazione egoistica dell’amore fino all’usa-egetta o fino alla distruzione dell’oggetto (!) amato, che rifiuta di asservirsi all’altro, occorre scendere molto più in profondità o salire molto più in alto – e realisticamente – nell’analisi dell’amore. Poiché esso è assolutamente centrale e radicale nella vita di ciascuno, tanto che nessuno può viverne senza, esso sarà una vicenda irrinunciabile e decisiva per la vita stessa, non una storiella o un fattaccio di cronaca. E qui bisogna evitare la retorica degli idealismi astratti e altrettanto la svendita dei pensieri e dei sentimenti più alti. L’amore bisogna trovarlo nel concreto – quotidiano eppure assoluto – in cui ogni persona cerca e non può non cercare la fondazione certa del rapporto io-tu (amore, amicizia e qualunque dedizione reciproca). Questo rapporto, ecco il punto cruciale e inaggirabile del discorso, è a due ma non si fonda su due. Enigma? No, mistero. Noi tutti siamo fatti, al di là di ogni fede, opinione, condizione, a modello, e bisogna dire sullo stampo, della Trinità. Senza addentrarsi in difficili discorsi teologici, questo significa che due uniti sussistono solo in un terzo; non solo due genitori nel figlio (è l’esempio più semplice, e tuttavia parziale), ma due che si amano sussistono nell’amore che li supera, due amici nell’amicizia che li trascende, due sconosciuti nell’altruismo reciproco. Al di fuori di questa sussistenza c’è solitudine e desiderio insoddisfatto, accusa reciproca, tormento e desolazione individuale: il dolore, si potrebbe dire, delle due metà non ricomposte nell’unità, che è il loro terzo! Detto in un altro modo: io non può essere felice non solo senza tu, ma senza che io e tu umilmente si facciano altro l’uno per l’altro. Esempio: uno lavando i piatti per l’altro mentre invece vorrebbe riposare o passeggiare, l’altro accettando un rimprovero del primo mentre vorrebbe respingerlo, o rimproverare a sua volta. Questo diventare altro per amore dell’altro è il segreto trinitario dei rapporti, di tutti i rapporti. Una volta ho visto in un trailer cinematografico una scenetta bellissima di due giovani sposi. Lei dice a lui: Potresti lavare i piatti? . Lui risponde a voce spenta: Va bene. Lei subito lo stoppa: Lascia perdere. Perché?. Perché tu devi voler lavare i piatti. È tutto esatto tranne il devi, perché nel rapporto trinitario le cose si fanno per amore, non per un dovere astratto. È l’amore il terzo in cui i due sussistono, come nella Trinità. Il segreto di ogni io-tu è questo. E se l’io e il tu rifiutano di viverlo rimangono ciascuno solo sé stesso. Se il seme non muore resta solo. Ma cosa fa l’ideologia? Predica i diritti dell’io cancellando il tu, che perciò diventa anche lui un io con i suoi diritti, diritti contro diritti come un treno contro un altro treno. E si vede. È come se l’io così arroccato chiedesse all’altro: Perché tu non sei tu?, e l’altro facesse simultaneamente lo stesso. Allora l’ideologia crede di rimediare all’evidente fallimento parlando di reciprocità. Bene,ma non basta, perché una reciprocità a due riproduce all’infinito i desideri insoddisfatti o solo parzialmente soddisfatti, ovvero la mancanza del terzo, che nella Trinità è il Terzo. È non c’è nessunissima altra soluzione al vuoto di questa mancanza, perché il terzo fonda la verità dell’amore dei due, impedisce che essa scada in atteggiamento, finzione, delusione, congedo. Ecco perché per amore (quello vero) si può morire uno per l’altro, perché in realtà non si perde nulla di sé così morendo, e nemmeno l’essenziale dell’altro. Dio fa così, esiste così, crea e redime così. Il problema, che per i non credenti a volte esiste meno che per i credenti, è essere davvero laici nell’amore, non etichettarlo, non credere di possederne il copyright (solo la Trinità lo possiede, lo è). E viverlo perdutamente, senza pretendere niente (pretendere sarebbe ritornare soli).