Nel mio cuore un rombo di tuono

«Gigi Riva, 1970. Uno scudetto da favola: diario della mia infanzia rivissuta grazie a Riccardo Milani». Riceviamo e pubblichiamo l’appassionato ricordo di un lettore, suscitato in lui dalla visione di un docufilm. Un ricordo che sarà sicuramente condiviso anche da tanti altri.
Gigi Riva Foto La Presse

L’occasione offerta dalla visione del docufilm Nel nostro cielo un rombo di tuono del regista Riccardo Milani, e autore di vari film di successo (Come un gatto in tangenziale, Grazie Ragazzi, Corro da te, per citarne alcuni), ha riportato alla mente e al cuore l’epopea calcistica, assolutamente fuori da ogni schema, del drappello di calciatori allenati da Manlio Scopigno, il famoso filosofo anticonformista del calcio italiano, perennemente con la sigaretta in bocca. Nel drappello, in testa Luigi Riva, noto Gigi, da Leggiuno – piccolo paese in provincia di Varese nella riva lombarda del Lago Maggiore, a pochi km dal confine svizzero.

Eravamo nell’epoca in cui c’era la favola di Inter e Juventus e una Cenerentola nella trama non era prevista. Ma ricordando il cantastorie di Fiabe Sonore – successo della Fabbri Editori dell’epoca -: “a mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar. Venite con me nel mio mondo fatato per sognar…”, di fatto di sogno si è trattato, seppur preparato per tempo e con perizia da alcuni dirigenti ed imprenditori sardi.

Primo fra tutti Andrea Arrica, dirigente del Cus Cagliari: abile segugio di campioni che, grazie alla segnalazione di un collaboratore di Varese, gli venne consigliato l’acquisto di un promettente attaccante del Legnano, Luigi Riva.

Nel marzo 1963 andò quindi allo Stadio Flaminio di Roma ad assistere a una sua partita con la nazionale juniores, e nell’intervallo, negli spogliatoi, si incontrò con il tecnico del Legnano Lupi e il presidente Caccia con i quali finalizzò l’acquisto per 37 milioni di lire una cifra corposa per un club di Serie B qual era ancora il Cagliari. L’acquisto si rivelò azzeccato e alla prima stagione i sardi centrarono la prima storica promozione in Serie A.

Ovviamente prima di continuare è giusto affermare che Andrea Arrica riuscì ad imbastire altre azioni di calciomercato da manuale (Boninsegna, Albertosi, Domenghini, Nenè).

Questa strana e prodigiosa alchimia creò una pozione calcistica che esplose ben presto a suon di vittorie fino al 12 aprile 1970, dove nel piccolo e rumoroso stadio Amsicora (a causa delle travi di legno, montate su tubi innocenti) con la vittoria sul Bari si aggiudicò lo scudetto dell’anno con due giornate di anticipo.

Una nota storica: Amsicora è un nome che fa parte dei miti, animatore, all’epoca dei cartaginesi, insieme ad Annone di Tharros, della rivolta delle città costiere della Sardegna contro i romani del 215 a.C.; e riuscì ad ottenere l’appoggio dei cosiddetti Sardi Pelliti per affrontare i nuovi dominatori.

Da mito a mito, il fenomeno Gigi Riva non è solo calcistico, ma anche antropologico: perché Riva, che restituì questa stima e questa adozione, mai rinnegata, riscattò la Sardegna che in quel periodo soprattutto era destinazione per chi era colpito da punizione. E questo nonostante la musica a fine degli anni ’60 stesse cambiando per l’avvento del principe Karim Aga Khan, titolo ereditario dell’Imam dei Nizariti, la più grande branca degli Ismailiti, che, dopo essersi innamorato dei colori della Gallura, acquistò dai pastori le terre dando origine alla meravigliosa Costa Smeralda.

Ma torniamo all’epopea di Rombo di Tuono, nomignolo forgiato dal grande giornalista sportivo Gianni Brera, che non negò mai una predilezione per l’ala sinistra del Cagliari. A lui l’affermazione che, quando Riva calciava di sinistro, avvertiva il rumore del tuono. Secondo Mazzola, Riva calciava con la punta del piede in modo che la palla si sollevasse il tanto giusto da terra per imprimere quella potenza da rombo di tuono.

Oltre alla straordinaria conquista dello scudetto, Riva si impose anche in Nazionale sacrificando due gambe per altrettanti gravi infortuni; e resta ancora oggi, 2023, detentore del record del numero di reti, ben 35, in Nazionale.

La stessa potenza del tiro e la capacità di gol la si ritrova nel suo carattere schivo al limite della tristezza (non dimentichiamo un’infanzia molto tribolata con la morte prematura di entrambi i genitori e gli anni in collegio).

È sempre stato un uomo vero, ha condotto la sua esistenza seguendo sempre sani ed etici principi, secondo un rigore morale mai visto e che oggi è anni luce lontano dai lustrini spesso poco brillanti del Calcio nazionale ed internazionale.

È forte pensare che Riva abbia trascorso gran parte non solo della sua carriera calcistica a Cagliari, da quando arrivò a 16 anni ad oggi, quasi ottantenne, ed è sempre stato un tutt’uno con la Sardegna e i sardi, nonostante le sue radici lombarde.

Ci hanno tentato sia Moratti che soprattutto Agnelli a portarlo a Milano o Torino, ma è ancora vigoroso il no pronunciato da lui. Avrebbe guadagnato il quadruplo e avrebbe vinto scudetti e Coppe a gogò. Ma la sua indomita volontà di rimanere ancorato in Sardegna gli è valsa dall’Isola nel 2005 la cittadinanza onoraria, e in quello stesso giorno il Cagliari ha ritirato la maglia numero 11, indossata da Riva, per consegnarla a colui che quel semplice numero lo ha reso grande, e mai più nessun altro giocatore del Cagliari potrà indossarla.

Aprendo un capitolo biografico, avrei compiuto 13 anni dopo 5 giorni dal quel 12 aprile 1970, quando mi trovai catapultato nel grande sogno dello scudetto e scesi in strada fino ad arrivare alla centralissima piazza Yenne per vedere la statua di Carlo Felice di Savoia vestito di rossoblù, i colori del Cagliari e sentire l’impazzimento dei caroselli di macchine strombazzanti.

Facendo qualche passo indietro, tra la mia scuola e casa, in via Paoli (i cagliaritani possono riconoscerla), era nata la prima pizzeria al taglio ad opera di un fiorentino che si rivelò ben presto amico della maggior parte dei calciatori. Per cui per vederli, più che per la pizza comunque buona, tantissime volte mi sono ritrovato taccuino alla mano a chiedere l’autografo ad Albertosi, Nenè, il più simpatico di tutti, Domenghini, un bergamasco di modi spicci. Ovviamente Riva non era avvezzo a ritrovi del genere, ma a noi ragazzini gli astanti bastavano.

Sopra l’ufficio di mio padre c’era la sede del Cagliari Calcio, e più che per devozione filiale, andavo spesso per incontrare Gigi Riva allora Presidente del Club. In una di questi incontri gli chiesi se mi concedeva un’intervista per Città Nuova, il suo era atteso e direi scontato. In vari incontri mai l’ombra di una spocchia, taciturno, sigaretta in bocca e disponibilità affabile.

Nel docufilm di Milani ci sono tanti incontri con persone della Sardegna legate o solo affezionate all’uomo di Leggiuno. Cito il dialogo tra due pastori: uno chiede all’altro se andasse a Cagliari per vedere le partite, e l’altro risponde che, più che per vedere partite, andava per vedere il campione dei campioni, Riva, allora il primo aggiunge in logudorese – lingua tra le più diffuse della Sardegna -: «Campione sì, ma lui este homine (lui è uomo) e homine balente».

In Sardegna homine è colui che rispetta ed è rispettato, e balente, nonostante alcune accezioni negative, vuol dire colui che vale, coraggioso, valoroso. Niente di più azzeccato per Riva che ha incarnato questi valori.

«Alla fine, grazie a Gigi Riva ho capito che noi che cerchiamo un mondo più giusto sarebbe bastato e basta essere persone perbene, oneste, avere rigore morale e impegnarsi a fondo nelle cose della vita. Avere coraggio pagandone il prezzo, di saper dire no a chi pensa di poter comprare tutto», la scritta con cui Milani conclude il docufilm.

Grazie Luigi Riva, noto Gigi.

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