Nel futuro tante Assisi

Il papa, facendo riferimento al vento che soffiava impetuoso, ha detto, improvvisando a braccio, che era “il soffio dello Spirito”.Tanti hanno avuto l’impressione che lo Spirito Santo abbia guidato l’incontro del 24 gennaio. È anche la sua opinione? Cosa glielo lo fa dire? “È anche la mia impressione. Me lo ha confermato l’atmosfera che si è creata fra tutti, nella quale si potevano percepire i doni dello Spirito: pace e gioia, in un reciproco tangibile amore, quell’amore sublime che è diffuso nei cuori proprio dallo Spirito Santo. “Durante l’incontro, infatti, che era stato preparato in maniera che le diverse denominazioni cristiane presenti, così come le varie altre religioni, fossero sullo stesso piano, l’amore fra tutti era così forte che, anche quando il pubblico applaudiva ripetutamente il Santo Padre, non appariva una stonatura, anzi”. La giornata di preghiera per la pace ha visto riuniti i rappresentanti di tutte le principali Chiese cristiane, compresa – una felice novità – quella ortodossa russa. Una testimonianza di unità di fronte al mondo. Quale rapporto le sembra esistere tra l’unità dei cristiani e la pace? “Un rapporto di primo piano. Anzitutto perché l’unità fra i cristiani, una volta raggiunta, sarà sinonimo di pace per più di un miliardo di persone, quanti sono i cristiani nel mondo. E in più, poiché l’unità fra i cristiani è il tipico distintivo dei seguaci di Gesù, testimoniando essa Cristo, Signore della pace, il suo vangelo d’amore e di pace potrà avere nel mondo una grande influenza. Ed anche al presente lo sforzo ecumenico di molti cristiani e delle loro chiese dà già sicuramente un certo contributo di pace nel mondo”. Anche lei ha parlato nel suo intervento della “regola d’oro”, come hanno fatto il papa, il patriarca Bartolomeo e il card. Kasper. Quali prospettive concrete può aprire? “È la norma base per poter instaurare il dialogo interreligioso fra le religioni. Poiché i vari libri sacri affermano che tutto ciò che si desidera fatto a sé stessi, occorre farlo agli altri (“Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi anche voi fatelo a loro”, Mt 7,12), domanda a tutti, in pratica, di amare. Lo domanda con la voce stessa della propria religione attraverso la presenza di questa frase che non è altro che uno dei “semi del Verbo”, princìpi di verità diffusi nelle varie fedi”. È inutile negare come esistano tra i cristiani delle resistenze contro il dialogo interreligioso. Si teme una perdita di identità, e si paventa il rischio del sincretismo. Qual è il suo pensiero al riguardo? Cosa direbbe a un cristiano “tiepido” nei confronti di questo dialogo? “Non è per nulla sbagliato temere una perdita di identità e il sincreti- smo nell’approccio con fedeli di altre religioni. È un vero pericolo se si pensa che qualunque cristiano può essere in grado di dialogare. Lo possono fare solamente persone preparate e che ne abbiano la vocazione. “D’altra parte nel tempo presente ormai, in molti paesi, fedeli di religioni diverse vivono quotidianamente gomito a gomito fra loro. Dovrà pur esserci quindi un modo di rapportarsi. “Secondo il mio parere esso può consistere, da parte dei cristiani, nel mettere in pratica quell’amore che Gesù ha portato sulla terra e che ha precise esigenze: va rivolto a tutti, e non solo ai parenti e agli amici, sull’esempio dell’amore del Padre celeste che manda pioggia e sole su buoni e cattivi, quindi pure sui nemici. È un amore che spinge ad amare per primo, senza attendere d’essere amato, come ha fatto Gesù il quale, quando eravamo ancora peccatori e quindi non amanti, ha dato la vita per noi. È un amore che considera l’altro come sé stesso, che ama l’altro come sé. Quest’amore non è fatto solo di parole o di sentimento, è concreto: esige cioè che ci si faccia uno con gli altri, che “si viva” in certo modo “l’altro” nelle sue sofferenze, nelle sue gioie, per capirlo, per poterlo aiutare efficacemente. Infine quest’amore vuole che si veda Cristo nella persona amata. Anche se diretto all’uomo, alla donna, Egli, infatti, ritiene fatto a sé quanto di bene e di male si fa loro. “Ad un cristiano tiepido spiegherei quanto ho detto fin qui, cercando di tranquillizzarlo e spronando, pure lui, ad amare”. A rappresentare la Chiesa cattolica, il papa ha chiamato due laici, una donna e un uomo, espressioni dei nuovi carismi… Cosa pensa stia a significare questa scelta inedita? “A quanto so, questa è stata proprio una scelta del Santo Padre. Forse ha pensato che, come si conosce un mandorlo dai suoi fiori, così si può meglio capire la chiesa dalle sue più piccole creature, ultime nate, ma vive: due membri dei nuovi movimenti o comunità carismatiche. Ultimi e piccoli figli della chiesa, ma nei quali la Madre vede, come in altre realtà ecclesiali, i fautori, per grazia di Dio, d’una sua nuova giovinezza, anzi di una nuova primavera da tempo attesa e preannunciata”. Giovanni Paolo II è stato a più riprese indicato dai rappresentanti delle grandi religioni come “l’unica persona” che avrebbe potuto organizzare una manifestazione come quella di Assisi. Come ha visto il papa nella città di Francesco, e quale le sembra debba essere il suo ruolo nel dialogo interreligioso? “Nella città di Assisi ho visto nel Santo Padre soprattutto quella benedetta “debolezza” di cui parla san Paolo, che è garanzia di “forza”. L’ho visto nella sua veste di “servo dei servi di Dio” che detiene, fra gli altri, anche il primato dell’amore. “Nel dialogo interreligioso il suo ruolo mi sembra quello che si è già affermato per la terza volta quest’anno ad Assisi: punto di incontro fra tutti, perno d’amore fra le varie confessioni cristiane e religioni. Dimostrazione vivente che il suo è un amore più grande: “Mi ami più di costoro?” (cf Gv 21,15), garanzia di fraternità sotto lo sguardo di un Padre comune”. Come diffondere lo “spirito di Assisi” e tener fede ai solenni impegni presi dai leader religiosi? E quale può essere il contributo concreto del Movimento dei focolari? “Col considerare intanto questo convegno un fatto storico, perché lo è stato, ma pensandolo come un momento non isolato. Già questa volta ha avuto, in molte parti del mondo e non solo cristiano, dei significativi riflessi con incontri di preghiera locali ed altre manifestazioni per la pace. Non isolato anche perché in qualche modo dovrebbe continuare. È ciò che speriamo. “Oggi infatti, dopo l’11 settembre, si è aggiunto un nuovo motivo per incontrarsi e per pregare Dio per la pace. In effetti certe guerre, presenti in più luoghi nel mondo, non sono più soltanto effetto dell’odio, di risentimenti per ingiustizie perpetrate, di rancori a lungo sopportati ed ira esplosi: tutti fattori negativi, ma forse semplicemente umani. Con l’affacciarsi del terrorismo diffuso, siamo di fronte anche a “forze del male” – come le ha definite il Santo Padre -, per vincere le quali non bastano più sforzi unicamente umani, non è più sufficiente che si mobiliti, ad esempio, il mondo politico… “Occorre che il mondo religioso avverta la necessità di far prevalere il Bene sul male, il bene con la B maiuscola, in uno sforzo comune per creare su tutto il pianeta quella fraternità universale in Dio alla cui realizzazione è chiamato. Fraternità che sola può essere l’anima di quella comunità mondiale a cui più d’uno degli ultimi papi ha fatto cenno e che è nell’aspirazione di molti cristiani. “È nel nostro cuore quindi il desiderio che Assisi 2002 sia l’inizio di una serie di varie iniziative vagliate e pensate da chi ne ha la responsabilità, perché il grido: “Mai più la guerra” diventi realtà. “Il Movimento dei focolari? Poiché è frutto d’un carisma per questi tempi, avverte d’essere già, con i suoi vari dialoghi, le sue attività ed il suo spirito, in sintonia con quanto le presenti esigenze oggi domandano. La giornata di Assisi è servita però a dare al movimento un’accelerazione in più, che faremo del nostro meglio per mantenere ed aumentare. Sempre, il tutto, a totale servizio di quant’altro lo Spirito e la chiesa vorranno chiederci”.

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