Nel film aveva Dio come partner

Un libro ripercorre vita e storie di Fernandel, l’indimenticabile don Camillo. Con Gino Cervi nei panni di Peppone ha animato la saga cinematografica ispirata ai personaggi di Guareschi, che ha reso famosa nel mondo Brescello
Statua di don Camillo a Brescello foto di MaryG90

Brescello è un nome universalmente noto, un “mondo piccolo” che ha fatto il giro del mondo grazie alla serie di film girati tra gli anni Cinquanta e Sessanta in questo comune della bassa padana con protagonisti don Camillo e Peppone, ovvero gli attori Fernandel e Gino Cervi. Ed eccoli di nuovo lì, sulla piazza Matteotti, uno davanti alla parrocchia di Santa Maria Nascente, l’altro davanti al Municipio, a scambiarsi da lontano un amichevole saluto dopo tanti scontri in cui si sono misurati con i rispettivi seguaci. Naturalmente non li vediamo in carne ed ossa, ma rappresentati da statue in bronzo che poggiano direttamente sul selciato, senza alcun piedistallo, quasi a voler significare che questi personaggi creati dalla fantasia di Giovannino Guareschi ci sono vicini, camminano ancora in mezzo a noi, ci interpellano con i pregi e difetti della loro sanguigna umanità.

 

Li ritroviamo ancora, i due, a pochi passi da questa piazza: nelle foto scattate durante la lavorazione dei film, nei manifesti originali, nelle ricostruzioni di alcuni ambienti delle riprese, all’interno del museo a loro dedicato presso il centro culturale San Benedetto, negli ambienti dell’ex convento quattrocentesco delle monache benedettine.

 

Dicono che a Brescello ogni anno arrivano decine di migliaia di visitatori da ogni parte d’Italia e del mondo, gli appassionati dei romanzi di Guareschi e dei film. Quanti sanno o ricordano qualcosa della storia passata di questa cittadina, importante per la sua posizione strategica già in epoca romana, dei suoi periodi di splendore e di decadenza, delle invasioni, distruzioni e saccheggi a cui fu sottoposta, dei suoi passaggi di dominio dalla repubblica di Venezia ai vari ducati, e via dicendo? Giusto i più anziani possono testimoniare la devastante alluvione del Po del 1951.

 

Per tutti, invece, Brescello rievoca immediatamente il parroco anticomunista che parlava con Cristo e il sindaco “rosso” suo cordiale avversario: due modi di porsi al servizio della comunità in un epoca che vedeva ben marcati gli opposti schieramenti, guidati da irriducibili capaci però, alla fine, di venire ad un accordo. Brescello, insomma, come la scalinata di Odessa immortalata dal capolavoro di Ėjženstejn, è l’esempio di come un luogo possa diventare emblematico per la potenza dell’arte letteraria o cinematografica.

 

Don Camillo e Peppone: chi oserebbe separare questo fortunato sodalizio che ricorda, dall’altra parte dell’oceano, quello di Stanlio e Ollio? Ci ha provato Fulvio Fulvi, che nel recente Il vero volto di don Camillo edito da Ares ripercorre – per quanti di Fernandel conoscono solo i film girati con Cervi e, tutt’al più, il divertentissimo La legge e legge con Totò – la vicenda biografica ed artistica dell’attore marsigliese che impersonò il battagliero parroco in tonaca e berretta a tre punte.

 

Il libro risulta una vera miniera di notizie sulla sua lunga carriera professionale, sulla famiglia a cui era molto legato, sugli amici che frequentava, sui luoghi e i cibi da lui prediletti, sulla fede cattolica della quale si era nutrito con la semplicità del popolo al quale apparteneva. Tra gli episodi poco noti, il 18 gennaio 1953 l’udienza personale da papa Pio XII, che avendo apprezzato Don Camillo, il primo film della serie, era curioso di conoscere, a suo dire, «il prete più celebre al mondo dopo di me».

 

Grazie alla vis comica sprigionata dalla sua maschera irresistibile, Fernandel (nome d’arte di Fernand Contandin) fu dotato di un talento naturale e precoce: fin da bambino, infatti, iniziò a calcare le scene sulle orme del padre. Dopo la gloria ottenuta esibendosi in spettacoli leggeri sui palcoscenici e nei café-chantant della sua Provenza, passò al cinema diventando l’attore più popolare in Francia.

 

Furono però i film girati in Italia, a Brescello, a segnare l’apice del suo successo mondiale. Il personaggio di don Camillo era tagliato a pennello su di lui, che come temperamento era ruvido e candido al tempo stesso, soggetto a solenni arrabbiature e subito dopo tenero, con quel sorriso strappasimpatia nel quale esibiva i suoi dentoni da cavallo. Vi si calò talmente che non mancò chi, credendolo realmente un prete, gli chiese di confessarsi da lui o almeno una benedizione.

 

Quanto a Guareschi, all’inizio non riconobbe la propria creatura letteraria nell’aspetto fisico dell’attore francese, ma poi finì per abituarvisi e da allora non riuscì più a immaginare don Camillo con un volto diverso. Certo, è il personaggio nel quale Fernandel ha dato il meglio di sé. «Se lo amo? – rispose una volta argutamente a chi glielo chiedeva –. Pensate, avevo il buon Dio come partner!» (si riferiva alle scene in cui don Camillo dialoga col Crocifisso, ricevendo  lui i meritati rimproveri per la sua impetuosità).

 

Inevitabile, a questo punto, l’accenno a Gino Cervi-Peppone, che gli fu non solo collega di recitazione, ma anche grande amico, tant’è che quando l’attore marsigliese, già colpito da tumore, dovette interrompere le riprese del sesto episodio Don Camillo e i giovani d’oggi (sarebbe morto pochi mesi dopo, il 26 febbraio 1971), Cervi si rifiutò di continuare a recitare con un altro partner e del film non si fece più nulla. Anni dopo si volle riprendere la saga guareschiana, realizzando a distanza di tempo due remake con altri attori di talento, ma senza troppa fortuna. Niente da fare: per il pubblico don Camillo e Peppone rimanevano inseparabili dalla coppia Fernandel-Cervi.

Adesso i due continuano a guardarsi e a salutarsi alle estremità della piazza principale di Brescello. L’immagine è idilliaca, ma chi li conosce si chiede: Cosa staranno meditando dietro le buone maniere…?

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