Nel Deserto del cavallo selvaggio

Alla scoperta di territori del Texas dove i religiosi oblati hanno portato il Vangelo. Alla frontiera dove arrivano i “latinos”.
Ragazzi di Guadalupe

Il Rio Grande riposa immobile tra le sponde basse. Sembra impossibile, guardandolo adagiato nella sua apatica calma tropicale, che regolarmente si risvegli e trovi la forza di inondare la pianura, trasformando il deserto in terra fertile. Le palme, pigre come il fiume, si rispecchiano nelle sue acque, mentre il tramonto tinge il cielo di colori irreali. Il tempo sembra fermarsi. L’argine sinistro è bordato da una cortina di ferro che segue il fiume per chilometri e chilometri; e anche oltre, fino al Pacifico, come barriera di difesa degli Stati Uniti contro l’immigrazione incontrollata dal Centro e Sud America.

 

Fotografo la natura incantata e il muro del disincanto. Gli agenti di frontiera mi avvicinano insospettiti: «Sta fotografando?». «Come non farlo, davanti a un tale spettacolo». «Scopre qualcosa di bello in questa città di Brownsville?». Sì, lo scopro, ma capisco anche che l’occhio può assuefarsi e trovare tutto terribilmente monotono, specialmente quando si pattugliano i confini. Mi basta dire che vengo dall’Italia e l’accoglienza, da gelida che era, si fa subito calorosa. Dimenticano la mia macchina fotografica e mi domandano come mai sono capitato proprio lì, alla fine del mondo, dove non c’è nulla da vedere.

 

 

La proprietà dei Kenedy

 

Sono sulle tracce di antichi pionieri che a metà dell’Ottocento percorrevano a cavallo questi territori contesi tra Messico e Stati Uniti.

Una volta che la Repubblica del Texas, appena staccatasi dal Messico, si unì nel 1845 agli Stati Uniti, questi rivendicavano il Rio Grande come confine, mentre il Messico lo voleva più a nord, lungo il fiume Nueces. La grande fascia intermedia era nota come “Deserto del cavallo selvaggio”; vi scorrazzavano, allo stato brado, i cavalli abbandonati dagli spagnoli.

 

Il mio viaggio parte proprio da qui, in pieno deserto, da un minuscolo paese, Sarita, tra le città di Corpus Christi e Brownsville, il cuore del ranch della famiglia Kenedy, che si estende per 400 mila acri e che, assieme al ranch della famiglia King, occupa la maggior parte del Deserto del cavallo selvaggio. Lasciato il paese, mi inoltro per chilometri tra acacie, quercioli e cespugli spinosi sotto il sole che picchia e con un gran bel caldo secco, fino alla villa ottocentesca dei Kenedy. Oggi trasformata in casa di preghiera, la casa conserva il fascino rustico e insieme ricercato degli antichi rancieri texani. 

 

I cervi pascolano tranquilli nel parco, in branco, mentre un vecchio maschio dal mantello scuro si aggira in disparte nella boscaglia, come un signore solitario e distinto, con la sua compagna. I tacchini selvatici passano rapidi, alti e snelli, lontani parenti di quelli di allevamento. Non ho ancora visto né gli armadilli né i cinghiali. I serpenti sono in letargo. In cielo volano solenni i rapaci. A notte, lontano dalle luci della città, il cielo è pieno di stelle. Appena una falce di luna, ma basta a illuminare gli alberi magri. Nessun rumore se non quello monotono dei grilli, l’ululato del coyote e l’agitarsi delle rade palme mosse dal vento.

 

Nella villa i ritratti dei Kenedy, che posano seri davanti al pittore, raccontano di un passato lontano, di una fortuna accumulata con il commercio marittimo, durante la guerra di secessione, poi convertitasi in proprietà terriera. Nasce il vasto ranch, immenso feudo con coloni disseminati nei boschi, intenti all’allevamento del bestiame, i famosi cow boys, o più prosaicamente i vacheros. Una vita magra la loro, a cielo aperto e in baracche, con le famiglie numerose.

 

Il cimitero dei cow boy

 

In una radura visito il loro cimitero, il “cimitero dei cow boy”, come si chiama ancora oggi. Croci sparse sul prato e lapidi spesso senza un nome, icona di vite anonime. Alcune donne portano un mazzo di fiori e si fermano sedute sui sassi, come nel più bel parco del mondo; e lo è. Mi siedo con loro, nella pace della sera, e mi faccio raccontare dei tempi andati.

 

Vedo rivivere padre Juanito, come venisse ancora lì, sul suo cavallo. Nato in Francia nel 1843, padre Jean Bretault era arrivato in Texas nel 1872. Prese a percorrere la costa su e giù tra Brownsville e Corpus Christi, per chilometri e chilometri, tanto che lo ribattezzarono Juan de la Costa! Un viaggio che richiedeva mesi, con tappe ai diversi ranch per celebrarvi la messa, fare il catechismo ai bambini, battezzare, benedire i matrimoni, pregare sulle tombe…

 

Una tappa obbligata del suo girovagare missionario era il ranch dei Kenedy, che dava lavoro a un 200 messicani, impiegati come cow boy, cuochi, giardinieri… Fin quando fu edificata anche una chiesa: il 20 ottobre 1897 padre Juanito era lì per la consacrazione. La famiglia Kenedy aveva una grande venerazione per questo missionario, al punto che, trent’anni dopo la sua morte, gli ultimi eredi lasciarono la proprietà agli oblati. Padre Jean Bretault era infatti dei missionari oblati di Maria Immacolata, che hanno legato la propria storia a quella della Chiesa in Texas.

 

Nel 1700 e nella prima metà del 1800 erano stati i francescani gli artefici dell’evangelizzazione delle tribù indiane, dai nomi difficili e dalle lingue le più diverse, che abitavano nelle grandi praterie vivendo di caccia. Ma con l’indipendenza del Texas i francescani dovettero ritirarsi. Per la Chiesa fu il vuoto. Preti e chiese erano rimasti sulla riva messicana del Rio Grande. Il nuovo vescovo del Texas si trovò con un territorio grande quattro volte l’Italia, senza preti e senza chiese. Bisognava ricominciare da capo.

 

La cavalleria di Cristo

 

E arrivarono gli oblati. L’8 dicembre 1849 celebrarono la loro prima messa in un negozio di Brownsville. Il primo gruppo stabile, erano in sette, proveniva dalla Francia: tutti ventenni! Padre Pietro Keralum, che aveva studiato architettura a Parigi, costruì la prima chiesa, appena sei anni dopo il suo arrivo. Era il primo edificio in muratura della città e sarebbe diventata la cattedrale. Ma prima di tutto bisognava costruire una fornace per preparare i mattoni. Dovette cuocerne tanti, perché i primi furono confiscati dall’esercito per innalzare il forte Brown!

 

Brownsville, assieme a Galveston, divenne il punto di partenza per un lavoro missionario che si estendeva a nord-ovest lungo il corso del Rio Grande e a nord lungo il mare. Mission, Rio Grande City, Roma, Laredo, Eagle Pass sono soltanto alcune delle città dove gli oblati hanno annunciato il Vangelo, unici sacerdoti e costruttori di decine e decine di chiese. Partivano a cavallo per visitare le famiglie dei cow boy nelle loro baracche, nei villaggi, nei ranch più remoti. Una famosa foto del 29 gennaio 1911 ritrae sette di quella che era stata chiamata la “cavalleria di Cristo”. Al tempo della foto erano ormai 85 gli oblati del Texas. Avevano superato mille difficoltà: la febbre gialla che si era presa otto di loro, gli uragani che portavano distruzioni, i confederati che avevano messo a ferro e fuoco Brownsville…

Il più anziano ritratto nella famosa foto, al centro, è quel padre Juanito de la Costa che abbiamo trovato nel ranch dei Kenedy.

 

Il cammino degli oblati

 

Riparto per il mio viaggio. Seguendo il corso del fiume percorro la strada militare, che collegava il Fort Browns con il Fort Ringgold. Oggi quella strada è chiamata il “cammino degli oblati”. Quando leggevo della Valle del Rio Grande, mi immaginavo colline e montagne dove scorreva il fiume. Niente di più piatto. In questa regione a sud del Deserto del cavallo selvaggio i ranch di una volta hanno ceduto il posto alle fattorie, con le coltivazioni di canna da zucchero, ortaggi, agrumi, cotone. Al ciglio della strada minuscoli cimiteri senza recinzione, con le semplici croci piantate nel prato.

 

Nel ranch della Palomita, a poco più di 150 chilometri da Brownsville, l’antica chiesetta, altro punto di irradiazione della “cavalleria di Cristo”. La città, che più tardi è sorta nelle vicinanze, ha preso il nome di Mission: da lì partiva la missione. Attorno alla cappella, ormai monumento storico, la città ha costruito un parco. Mi raccolgo in preghiera ricordando i nostri antichi “cavalieri”.

Dovrei inoltrarmi ancora più avanti nella valle, verso altre mete, seguendo il cammino degli oblati. Ma il mio pellegrinaggio volge al termine. Ho appena gustato un tocco delle origini… E anche della vita che ancor oggi continua. Sono un centinaio gli oblati che nel Texas percorrono le strade degli antichi pionieri.

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