Nel cuore di Nowa Huta
La penetrazione in Polonia dello spirito dell’unità al tempo del socialismo reale. Pagine inedite di Anna Fratta.
Primavera del ’74 all’Osieldle nalotnisko di Nowa Huta. A quell’ora mattutina, i passanti si sono ormai abituati ad incontrare la panidoctor italiana che con passo veloce si dirige verso il luogo di lavoro. In tempi in cui il sospetto è d’obbligo e dove, per la stessa ragione, le notizie circolano veloci, sono a conoscenza che la dottoressa Anna Fratta ha già esercitato nella confinante Germania Orientale, la Ddr, dove ha ricevuto tre medaglie. Non solo come riconoscimento ufficiale della sua professionalità, ma anche «per aver contribuito a collettivi uniti ed efficienti». Eppure lei non risulta iscritta al partito; e a chi glielo chiede, con la dovuta prudenza ma senza timore, dice apertamente la sua fede cristiana. E questo, sotto sotto, piace a questi ruvidi operai polacchi che portano nel loro Dna il senso profondo di una fede cattolica ricevuta dai padri, che tra l’altro ha consentito loro di conservare – pur tra immense difficoltà e sacrifici – una forte identità nazionale.
La dottoressa abita in quel quartiere dal nome impronunciabile per chi non è polacco, in un minuscolo appartamento che condivide con Basia Scheibal, un’artista, ed Eva Spolinska, medico anche lei. Che ci fanno tre professioniste nella città operaia per eccellenza, modello dell’industrializzazione socialista? Un fatto però i curiosi vicini non sanno: quello è il primo centro dei Focolari in terra polacca. La dottoressa italiana che abita lì è “romana de Roma”, laureatasi in medicina alla Sapienza con il massimo dei voti. Dal 1992 si trova al Centro internazionale dei Focolari.
Il movimento era presente nel blocco sovietico sin dagli anni Sessanta, ma solo dopo l’89 si è potuto parlare di questo importante tratto della sua storia. Quando si è stabilita al di là della “cortina di ferro”?
«Partii per Lipsia nel 1962 con Natalia Dalla Piccola, prima compagna di Chiara. Arrivai la sera nell’ospedale dove dovevo lavorare ed abitare. Una grande scalinata di marmo e su, in cima, una riproduzione della Madonna di Michelangelo era lì ad attendermi davanti alla porta della cappella. Ce l’ho ancora davanti agli occhi! Entrai nella cappella semibuia e vuota. E lì, sola, in un silenzio sacro, dissi il mio sì incondizionato a Gesù che mi attendeva in quell’ “oltre”.
«Nel ’69, il 9 novembre, Chiara Lubich venne a trovarci al di là del muro, gli stranieri potevano avere un visto di 24 ore: i primi amici dell’Est non l’avevano mai incontrata di persona. Eravamo una quarantina in tutto. Per raggiungerci, aveva anche lei dovuto attraversare quel muro che squarciava la città in due, la piagava. Ci parlò di Berlino come “ città della piaga” (intendendo la piaga segreta dell’Abbandonato). “Piaga che l’amore – ci disse – cauterizzerà e non sarà più piaga di dolore ma d’amore”. “E alla fine il muro crollerà”, concluse. Quando vent’anni dopo, proprio il 9 novembre, il muro crollò, ci ricordammo di quelle parole».
Lei ha iniziato il primo focolare polacco a Nowa Huta. Può raccontarci qualcosa di quegli anni?
«Era l’estate del ’69, quando per la prima volta misi piede in terra polacca. Alcune persone avevano sentito dire qualcosa del movimento e, desiderose di saperne di più, organizzarono una “settimana di vacanza” a Zakopane, località turistica sui monti Tatra. In questo primo gruppetto si distinsero coloro che sarebbero stati protagonisti della storia del movimento in questa terra. Tra questi, come non ricordare il giovane ingegnere Jerzy Ciesielski? Sentì la chiamata a donarsi a Dio, da sposato. Il lavoro lo portò qualche mese dopo nel Sudan, ad insegnare in una università. Durante il viaggio il battello si capovolse e lui perse la vita assieme ai due figli più piccoli, mentre Marisia, la terza figlia, si salvò a nuoto. Ora la Chiesa l’ha dichiarato “servo di Dio”».
Come avete conosciuto l’allora cardinale Wojtyla?
«Fu tramite un’amica, Sofia Stapor, che ebbe un ruolo rilevante per quei primi passi del movimento in Polonia. Faceva parte, come Jerzy, del gruppo di intellettuali amici del cardinale. Il mio primo incontro col futuro papa fu semplice: sentii subito una grande fiducia, un grande rispetto per ciò che intuiva essere un’opera di Dio, malgrado il movimento fosse composto allora da poche persone. L’ultima volta che lo incontrammo a Cracovia fu nel maggio 1978, pochi mesi prima di essere eletto papa».
Come ha potuto stabilirsi in Polonia? Non era facile ottenere un permesso di soggiorno…
«Intanto crescevano le comunità. Si vide la necessità di fondare un centro anche in Polonia. Fu deciso che andassi io. In Ddr era stato relativamente facile avere un permesso di soggiorno; mancavano i medici, ma in Polonia ce n’erano persino troppi. E poi un’italiana, cosa ci veniva a fare, mentre tutti avrebbero voluto andare via? Tutte domande più che logiche. La provvidenza ci fece incontrare il dott. Julian Zabinski, direttore di un grande complesso di cliniche e ambulatori, legato allo stabilimento siderurgico di Nowa Huta. Questi prese talmente a cuore la mia causa che tra mille difficoltà ed incertezze – lui stesso aveva rischiato di perdere il posto per causa mia – ottenne per me, nella primavera del 1974 tutti i permessi. E finalmente potei trasferirmi in Polonia».
In un minuscolo appartamento di 34 metri quadrati, in un caseggiato popolare di Nowa Huta, alloggiò dunque il primo focolare…
«Quando andammo dal card. Wojtyla per informarlo, ricordo che si prese la testa tra le mani. Ci benedisse e incoraggiò. Anche nei momenti più difficili di repressione, il movimento continuava a svilupparsi e non avemmo mai difficoltà con la polizia. Lo confermano gli atti della Stasi, che abbiamo potuto consultare dopo il crollo del regime. Abbiamo così saputo di essere stati seguiti passo passo ed eravamo ben consapevoli di essere sotto una particolare “cura”. Ma ci muovevamo liberi, amando tutti, e l’amore disarma: nei nostri incontri, anche abbastanza numerosi, il nostro parlare era tale che tutti avrebbero potuto ascoltarci.
«Poi, con gli eventi dell’89, il movimento uscì dalla clandestinità, riuscendo a consolidare le sue strutture, sviluppando una casa editrice e un periodico bimestrale, Nowe Miasto».