Nel bianco del Sud
Fabrizio Saccomanno con Iancu, un paese vuol dire possiede le qualità del moderno raccontastorie, per recuperare un patrimonio popolare inghiottito nel flusso delle stratificazioni della memoria e dalla perdita d’identità.
Negli ultimi anni un’inflazione di monologhi ci ha quasi saturati. Con eccezioni che si sono discostate dai confini del genere, a volte per la particolarità del personaggio, per la qualità della scrittura o per la vitalità dell’interprete. Fabrizio Saccomanno con Iancu, un paese vuol dire non aggiunge particolari impennate al genere, ma possiede le qualità del moderno raccontastorie, per recuperare un patrimonio popolare inghiottito nel flusso delle stratificazioni della memoria e dalla perdita d’identità. Autore e interprete di Iancu, l’attore pugliese sosta sulla classica sedia, centro della narrazione, vestito di bianco.
Sull’affermazione che «un paese vuol dire non stare soli», racconta una storia del passato dentro la quale gemmano tante altre storie: quelle di un paese del Sud con le sue tragicommedie di varia umanità, attraversato dalla guerra, e, più avanti, da un fatto di cronaca: quella del bandito Graziano Mesina, fuggito dal carcere di Lecce, per il quale inizia una caccia all’uomo che mobiliterà l’intero paese.
S’intrecciano storie e personaggi che scorrono tra l’intonaco bianco, osservate dagli occhi innocenti di un bambino che si affaccia sul mondo dei grandi.
Produzione Cantieri Teatrali Koreja. Al Teatro Era di Pontedera.