Nekrosius, ritratto d’artista dimenticato
“A Hunger Artist” (Un digiunatore) è un breve racconto, l’ultimo, di Franz Kafka, in cui si narra il declino di un “artista della fame” (traduzione letterale del titolo). Descrive la popolarità del singolare personaggio considerato il “più grande digiunatore di tutti i tempi”, il cui successo passa velocemente di moda con l’arrivo di nuove attrazioni per il pubblico. Fino a quando, in punto di morte, abbandonato sopra un giaciglio di paglia in una gabbia da circo, egli rifiuta l’ammirazione tributatagli in vita sostenendo di non meritarla dato che il digiunare gli è stato sempre facile non per forza di volontà e convinzione nella sua arte, quanto, piuttosto, per una mera questione di gusto, non avendo mai trovato un cibo che gli piacesse. Una conclusione grottesca e paradossale che indica come il rifiuto del cibo in lui non ha altro obiettivo che se stesso, ed è, pertanto, una forma d’arte.
A portare in scena l’esile racconto, dalla prosa secca e scarnificata, è Eimuntas Nekrošius, artefice di memorabili allestimenti con la sua compagnia teatrale Meno Fortas – da Shakespeare a Cechov, dalla Bibbia a Dante, a Dostoevskij -, ritornato lo scorso anno a teatro dopo un periodo di assenza dalla scena. E, come sempre, c’è qualcosa di sorprendentemente vitale, seppur celato, nella sua messinscena. L’acclamato regista lituano ne fa, anche, una rappresentazione dal sentore autobiografico – come lo fu per l’autore – identificandosi nell’artista che dal successo sprofonda nel dimenticatoio. È questa, forse, nel sovraimprimere una personale condizione artistica, emotiva ed esistenziale, la chiave di lettura che intravediamo nello spettacolo: un coraggioso e umile atto di denuncia verso la figura dell’artista in generale che, dopo i trionfi e i riconoscimenti, viene abbandonato, dimenticato, incompreso, esiliato o costretto all’autoesilio in una nicchia di solitudine, con il distacco dal proprio pubblico. Oblio creato da dissennate e opportunistiche manovre di mercato dettate e manipolate da impresari, critici, direttori artistici che assumono il potere di acclamare o far dimenticare un artista.
«I critici che hanno scritto sulla novella kafkiana – scrive il regista – ne hanno ipotizzato vari significati nascosti: è la tragedia di un artista rifiutato dal pubblico? O forse è la tragedia di un essere umano che cerca di superare Dio?». La domanda è aperta. Nekrošius, col suo consueto e sempre geniale stile, traduce in immagini la pagina scritta, dove i temi s’intrecciano al linguaggio non verbale fatto di azioni e suoni capaci di dilatare il tempo. Sono visioni, in un collage drammaturgico, che sovrastano la parola e la piegano ai moti dell’anima.
Con toccante semplicità e immediatezza Nekrošius crea un’atmosfera intima evidenziata dalla scenografia scarna costituita, invece che dalla gabbia dove Kafka rinchiude il protagonista, da un appartamento definito da una semplice parete con disegnate due porte socchiuse, delle sedie e un appendiabito; sedie che ritroviamo anche in palcoscenico insieme ad un pianoforte e ad una libreria metallica che si trasformerà in scala e trapezio circense. In questo interno si muove il Digiunatore, interpretato, invece che da un attore maschio, da una donna, la magnifica Viktorija Kuodytė, la quale entra in scena saltando o suonando e gridando che «la cena è pronta!», oltre a disegnare su una lavagna il menù, cioè il digiuno impostogli per 40 giorni. Da qui inizia il racconto della sua storia di fenomeno da baraccone. Ad accompagnarla, seguirla, manovrarla, sono tre strampalati personaggi – gli attori Vaidas Vilius, Vygandas Vadeiša e Genadij Virkovskij –. Incarnano, di volta in volta, prima dei conferenzieri che illustrano con sagome di cartone dello stomaco, un trattato medico sulla digestione imponendo al Digiunatore delle esercitazioni e altri tentativi che egli rifiuterà; poi dei guardiani; quindi l’impresario dapprima magnanimo poi crudele; infine dei circensi.
Se lo schienale della sedia è usato come gabbia, dei fiori sparsi come giaciglio di sogni, degli stracci estratti da un sacchetto di plastica per diverse vestizioni, altri oggetti e situazioni ricreano immagini emblematiche. Fra tutte l’esposizione di premi, riconoscimenti e attestati – veri – della luminosa carriera del regista, distribuiti per terra e sopra i quali la donna si sdraia felice per poi disfarsene riponendole dentro la scatola da dove erano stati estratti, e mettendo un cartellino con scritto “Monte dei pegni”. Quei premi fatti oggetto di vendita dicono, forse, la futilità della fama, l’illusione del successo, la vanità del consenso. Perché, sulla riva opposta di tutto questo, a trionfare rimarrà sempre il valore della persona con la sua arte e il suo talento. E che, in Nekrošius, continuiamo ad ammirare, emozionandoci.
“A Hunger artist”, di Franz Kafka, regia Eimuntas Nekrošius, scene Marius Nekrošius, costumi Nadeda Gultiajeva, sound designer Arvydas Dūkšta, light designer Audrius Jankauskas. Prodotto da Meno Fortas Theatre, con il sostegno del Lithuanian Culture Council, produzione in Italia Aldo Grompone. A Napoli, Teatro Bellini.