Nekrosius mette in scena la fede di Giobbe

Al teatro Olimpico di Vicenza quest'opera profonda ed interessante allestita in occasione del 66° ciclo di spettacoli classici
Il libro di Giobbe Remigijus Vikaitis

Prima Il Cantico dei Cantici. Poi il Paradiso dantesco. Ora Il libro di Giobbe. Testi e figure che hanno a che fare col tema del sacro. Nel mezzo del cammino della sua vita Eimuntas Nekrosius, il regista lituano artefice di memorabili allestimenti scenici – a partire da un’insuperabile trilogia scespiriana fino a Cechov, a Goethe, Tolstoj, Dostoevskij – sembra addentrarsi sempre più verso una ricerca spirituale in senso lato. A ben guardare, nel suo teatro, qualsiasi autore o testo egli affronti, l’attenzione è rivolta anzitutto all'essere umano, alla sua responsabilità di fronte alla propria coscienza, allo scandaglio di quel mondo interiore da cui muovono pensieri e azioni, verità e scelte.

La vertigine di un sofferto cammino di ricerca d’assoluto, di trascendenza, di fede, può essere rappresentata dal personaggio biblico di Giobbe, l’uomo dei dolori, del lamento, della pazienza, dell’obbedienza, della miseria dell’esistere e dello stupore della fede, del mistero dell’uomo e del male. Molteplici sfaccettature e questioni, sempre attuali, che hanno affascinato Nekrosius. «Soprattutto – ha dichiarato – mi attrae la relazione tra Dio e la vita. Forse la vita è Dio?». Da qui nasce lo spettacolo presentato in prima mondiale al teatro Olimpico di Vicenza Il libro di Giobbe.

Un’impresa ardua, dato che non c’è narrazione, ma solo un flusso di parole affidate al protagonista, a Dio, a satana, e ai tre amici Elifaz, Bildad e Zofar, con protagonisti principali gli incisivi Remigijus Vilkaitis e Salvijus Trepulis. A essere messe in scena, secondo il tipico processo creativo del regista,che lavora sull’interpretazione degli attori e sulla loro forza interiore, sono le suggestioni, le idee, le immagini, che l’hanno ispirato. E lo spettatore non deve cercarvi una linearità, una chiarezza figurativa, un’esplicitazione del racconto. Semmai crearvi le proprie, di malie e d’interpretazioni. A partire dagli oggetti in scena, sempre simbolici per Nekrosius.

Fissi in palcoscenico ci sono alcuni pannelli solari – rivolti a catturare luce ed energia divina? – disposti lateralmente; una vecchia scrivania dei cui cassetti gli interpreti ne faranno ampio uso imprimendovi una gestualità evocativa; una grossa trave nera. E una costante, sempre suggestiva, colonna sonora. La tirata iniziale tocca a un Dio strillante che giunge con al collo un fiocco dorato contenente un pesce. Egli racconta la vicenda di Giobbe, l’uomo giusto, onesto e pio, privato improvvisamente dei beni, dei figli, dell’integrità fisica, storia ripetuta poi da un satana con una pala dietro la schiena e un teschio di legno in mano, e ripresa, a turno, dai discorsi razionali dei tre amici – il veggente, il giurista, il sapiente –, che arrivano con tre grandi tamburi.

Le relative risposte di Giobbe lo vedono prima indossare un’enorme collana fitta di lampadine; poi dire le sue pene immobile accanto al palo e con una piccola asta poggiata sul capo che lo schiaccia col suo peso e con quello di un piccolo sasso bianco; quindi entrare e uscire da un tunnel di stoffa nera tirandone fuori dei sassi. A consolarlo, bagnandogli le labbra, offrendogli le braccia, lenendogli le ferite con pezzi di stoffa, saranno gli amici e una donna biancovestita, mentre un’altra in nero – il male? – vorrebbe tirarlo verso di lei.

In chiusura il discorso di Dio, lo sfidato. Interpellato con un microfono, dapprima ansimante poi sempre più urlante, a sua volta sfida Giobbe prima strattonandolo, tirandolo giù dal tavolo, prendendolo sulle spalle e mettendolo al centro della scena per interrogarlo nel riconoscere la sconfinata potenza divina, ed elencando il mistero dei segreti e delle meraviglie della creazione di cui l’uomo è in grado di sondare appena qualche particella microscopica. I cassetti, usati come foglie, uccelli, e altro ancora, saranno infine rimessi a posto. Quello mancante in mano a Giobbe, restio a riconsegnarlo, sarà l’ultimo a essere inserito, sequenza che sembra suggerire il ricomporsi di quell’itinerario di protesta e di fede, di desolazione e di speranza del protagonista, che ha avuto come meta l’incontro trascendente e supremo. Dio, infine, porgendogli una mela la spacca dividendola per tutti. Per ogni uomo che s’interroga sul senso ultimo dell’esistere e sul mistero che lo avvolge.

“Il libro di Giobbe”, regia Eimuntas Nekrosius, Compagnia Meno Fortas, scene, Marius Nekrošius, musiche originali Leon Somov, luci Audrius Jankauskas. A Vicenza, Teatro Olimpico, per il 66° Ciclo di spettacoli Classici.

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