Nei media con determinazione
Comincia a Tagaytay il congresso dell'associazione di comunicatori cattolici Icom, un altisonante "World Media Congress", con tanto di inno nazionale, preghiera dei seminaristi Paolini e una sorta di coreografia dei ragazzi e delle ragazze di non so quale scuola con tanto di alucce colorate e mascherine sorridenti. Difficile immaginare un congresso di giornalisti in Europa che cominci della sorte!
A ben guardare, in questa insolita introduzione, guidata dalla decano della locale facoltà di Comunicazione, c'è l'anima delle Filippine: il patriottismo, la religiosità, la gioventù e lo studio. La razionalità seriosa e altezza qui non è di casa e la bassa media anagrafica rende ogni atto gioioso e creativo.
Benvenuti nel Paese delle 7 mila isole, dei quasi 100 milioni di abitanti, dei presidenti così diversi tra loro, di una Chiesa cattolica potente, di un'economia di nuovo in crisi, ma il sorriso della gente non lo direbbe…
Confesso con una certa vergogna di essere arrivato a questo congresso dell’Icom nelle Filippine, a Tagaytay, con una certa supponenza nordica ed europea: noi abbiamo la vera cultura, noi maneggiamo le culture per “governare” i fenomeni sociali.
Mi sono subito dovuto ricredere, già con i due primi speaker, un manager del network ABS/CBN, Dennis Lim, e un gesuita, Emmanuel “Nono” Alfonso, che hanno introdotto l’uditorio nel mondo della comunicazione digitale, che sta dominando il mondo delle relazioni così come la cosiddetta l’infosfera. Con eleganti ed efficaci presentazioni audiovisive, hanno mostrato come da una parte l’intero mondo informativo, culturale, artistico e dello spettacolo ormai siano inglobati – e valorizzati – nel digitale (Lim), e dall’altra come le implicazioni etiche facciano tremare i polsi dell’intera società, ma con una grande crescita della responsabilità personale e collettiva (Alfonso).
La nostra cultura libresca dov’è in tutto ciò? Resterà? Siamo tutti più stupidi? Confesso che dopo aver seguito le due conferenze mi sento meno stupido di prima (o appreso cose nuove in modo leggero) e più stupido (perché il nuovo mondo digitale io solo lo sfioro). Ma la direzione di marcia, le tendenze generali, le grandi sfide culturali, sono ancora appannaggio di chi pensa nel profondo. Grazie a Dio.
In giugno mi sono ritrovato a tenere una summer school di giornalismo in Costa d’Avorio. Ora mi trovo qui nelle Filippine per un congresso di cronisti e comunicatori, soprattutto locali.
Debbo dire che questa involontaria vicinanza temporale mi ha mostrato alcune consonanze tra ivoriani e filippini: 1) una gran voglia di comunicare; 2) una testarda volontà di riuscire nella professione, considerata come una “vocazione”; 3) un gran rispetto per chi ha lunga esperienza; 4) una certa carenza di conoscenze storico-geografiche-culturali, seppur non generalizzata; 5) un forte anelito alla giustizia, non solo ricevuta ma anche impartita; 6) una notevole versatilità nel cambiare il medium via via usato; 7) una predisposizione direi ancestrale al raccontar storie; 8) uno sguardo che naturalmente supera i confini del territorio; 9) ma che non dimentica mai la propria gente, soprattutto chi soffre; 10) uno sguardo vivo, vivissimo, in confronto al quale quello dell’europeo pare spento o quasi.
C’è speranza in questi Paesi che non sono tradizionali centri di giornalismo internazionale, ma che si affacciano con determinazione ai media dell’epoca digitale.