Negramaro: rivoluzione alla salentina
Ci sono dischi che passano come acqua piovana, ed altri destinati a restare come pietre miliari o comunque come momenti fondamentali di una carriera. La rivoluzione sta arrivando l’album italiano più atteso e importante di questa stagione, appartiene con ogni probabilità a questa seconda specie.
Il ritorno della rock band pugliese è un disco concepito e realizzato con calma, generato e nutrito dal dolore (la morte del padre del leader Giuliano Sangiorgi), ed anche per questo in grado di veicolare valori importanti: innanzi tutto l’idea che qualunque cambiamento/miglioramento sociale non possa che trovare l’energia necessaria nei comportamenti e nella volontà dei singoli. Un album a suo modo politico, anche se le nuove canzoni parlano soprattutto d’amore, di sentimenti dell’intimo, di piccole umanità in continuo confronto con grandi problemi e grandissimi temi, la Morte in primis.
La band salentina è una delle realtà più solide, potenti e rappresentative espresse in questi ultimi anni dal rock d’autore nostrano. Un’ipotesi moderna nelle sonorità, autenticamente mediterranea nelle radici, e cosmopolita nelle potenzialità. Piace di queste dodici nuove tracce l’immediatezza e la vitalità che schizza dai solchi, l’artigianale ricerca di una specificità espressiva che ancora caratterizza il lavoro del sestetto salentino, la credibilità e l’autorevolezza del marchio: un percorso che in questi quindici anni di costante ascesa approda a questa sesta tappa senza aver perso le intenzioni delle origini, ma avendone maturato e definite sempre meglio direzioni ed obiettivi.
Sangiorgi e i suoi han preso il proprio nome da un famoso vitigno della loro terra, e proprio come questo possiedono vigoria, adattabilità al contesto, e la capacità di germogliare e produrre anche nell’aridità circostante. Vale a dire che i Negramaro continuano a galleggiare tra i marosi e le depressioni del music-business contemporaneo senza perdere né l’anima, né la passione, né la genuinità primigenie.
Trainato dal fortunatissimo singolo Sei tu la mia città uscito già in primavera, il disco scorre irradiando suoni e rime mai banali, ma senza cedere a retoriche intellettuali. Certo la voce potente e personale di Giuliano Sangiorgi continua a costituire il fulcro e la griffe essenziale della loro proposta stilistica, ma anche questo nuovo album aggiunge nuovi imput emotivi, suggestioni, idee. Qua e là affiorano dalla struttura rockettara aromi gospel e blues, ammiccamenti agli U2 e ai Coldplay (non per scimmiottarli, ma piuttosto per certificare una piena appartenenza al proprio tempo).
Un disco così non s’inventa dall’oggi al domani, e come il succitato vino ha bisogno di tempi di maturazione e di decantazione adeguati (quasi cinque anni, in questo caso), ma quando va giù lo senti gradevole, corroborante, perfino balsamico. Questa manciata di nuove canzoni insomma, suonano come una specie di summa di quanto realizzato fin qui, e insieme, come la definitiva consacrazione di una grande band.