Nefasta separazione tra teoria e pratica
A metà Ottocento, l’abate Antonio Rosmini Serbati, oggi beato, additava una delle cinque piaghe di cui soffriva la Chiesa nell’insufficienza dell’educazione cristiana. Nei tempi antichi, a suo dire, erano stati quattro i pilastri su cui essa saldamente poggiava: «L’unicità di scienza, la comunicazione di santità, la consuetudine di vita, la scambievolezza di amore».
La modernità, e ancor più questa nostra età, ultra o post-moderna che la si voglia chiamare, è attraversata in effetti da questa stessa urgente esigenza. E la Chiesa non ha mancato di avvertirla come una spina conficcata nella sua carne. Non a caso famiglie religiose di rilevante importanza, negli ultimi secoli, dai gesuiti ai salesiani alle orsoline, hanno declinato il carisma dei fondatori soprattutto in questa chiave, mentre il Vaticano II vi ha dedicato un intero decreto. I vescovi italiani hanno deciso di consacrarvi un decennio e il prossimo sinodo dei vescovi, a livello mondiale, affrontando il tema della nuova evangelizzazione, lo coniugherà con quello della trasmissione della fede. Val la pena perciò riflettere ancora sulle lucide e per molti versi profetiche parole del Rosmini.
Intanto – egli dice – occorre ridare «unità» di contenuto, di prospettiva, di obiettivo, alla scienza che viene impartita. A partire da che cosa? Dalla Parola di Dio e dal suo culmine in Gesù Cristo, Verbo di Dio. Se non vi è questo centro vivo, la scienza non ha «né radice né unità» e resta semplicemente «attaccata e per così dir pendente alla giovanile memoria». Occorre poi superare la «nefasta separazione tra teoria e pratica», perché nell’unità tra scienza e santità «consiste propriamente la genuina indole della dottrina destinata a salvare il mondo». E infine occorre guardare a quella stagione in cui «l’ammaestramento non finiva in una breve lezione giornaliera, ma consisteva in una continua conversazione che avevano i discepoli co’ maestri». Anche perché la verità implicata nell’educazione e nella formazione cristiana «impone rispetto e venerazione di sé tanto in chi la riceve quanto in chi la comunica».
Da cima a fondo, dunque, la comunicazione e la ricerca del vero, del bene e del bello hanno a che fare con l’unità: tra i rami del sapere, tra studio e vita, tra discepoli e docenti. Perché uno è il Maestro che dà luce e una la Sapienza che a ogni cosa dà sapore. Un bel programma, non c’è che dire. E più che mai attuale. Ne va del nostro futuro. E perciò, tutto sommato, val la pena di dedicargli la massima attenzione e di spendervi le migliori energie.