Né pace né giustizia senza lotta alle povertà

Note in margine al convegno “Il dono e la speranza”, tenutosi a Napoli il 18 e 19 giugno
riccardi sepe

«Se non c’è solidarietà l’umanità non si salverà. L’economia deve essere al servizio dell’uomo e non viceversa. Il criterio della comune appartenenza alla famiglia umana è l’unico in nome del quale si può chiedere ad ogni popolo, e quindi ad ogni Paese, di essere solidale».

 

Le parole del cardinale Sepe aprono la grande assemblea, in San Lorenzo Maggiore in Napoli, di 1500 delegati dall’Italia e dal mondo di movimenti ecclesiali e associazioni che lottano contro le povertà di oggi, facendo intravedere piste di riflessione nuove e coraggiose, soprattutto in un’epoca in cui «c’è una nuova e crescente povertà, che risente certamente della crisi economica internazionale ma è propria dei Sud del mondo». Il convegno, primo nel suo genere, è stato promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, unitamente all’arcidiocesi di Napoli e alla Comunità Giovanni XXIII.

 

Sepe ha precisato che si parla di una povertà che va al di là della pura assistenza e che richiede interventi organici di politica del lavoro, di sostegno alla famiglia, per gli anziani, per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. L’appello del cardinale ha indicato chiaramente in quale direzione muoversi: «Non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza la concreta lotta alla povertà, che deve realizzarsi attraverso una più equa distribuzione delle ricchezze che pochi uomini e nazioni pretendono di controllare e governare in nome di una superiorità e di un diritto che, in alcuni casi, si traduce in sfruttamento, violenza,offesa alla vita e alla dignità della persona umana». L’applauso prolungato che ha chiuso il suo intervento è stato il segno più eloquente di una piena adesione dell’assemblea.

 

«Siamo tutti provati nella speranza – ha esordito subito dopo Andrea Riccardi – soprattutto quando stiamo con i poveri: oggi sono sempre meno “interessanti”, in quanto è in atto una crisi della solidarietà che porta intere comunità a difendersi da loro». Affermazione dura ma realistica. Lo vediamo soprattutto in Italia dove gli sbarchi in Sicilia vengono spesso visti come invasioni, non come fuga dalla fame e dalle guerre di popoli stremati e disperati: atteggiamento che Benedetto XVI ha più volte stigmatizzato come pericoloso per la civile convivenza degli uomini, chiamati tutti ad una fraternità solidale.

 

«Noi invece vogliamo difendere i poveri – ha continuato Riccardi – per dare ragione alla speranza che è in noi. Per questo dobbiamo cantare la bellezza dell’amicizia con i poveri. Non possiamo accettare il globale rifiuto della solidarietà che fino ad ieri era il sapore della società. La Chiesa va controcorrente e promuove la piena dignità dei derelitti e degli emarginati all’interno delle nostre società. L’emarginazione dei poveri non può essere della Chiesa, che è Chiesa di tutti e Chiesa dei poveri. Il sacramento dell’altare e il sacramento dei poveri camminano insieme e ogni esperienza autenticamente cristiana comincia con l’aiuto ai poveri, perché le ragioni di Dio e quelle dei poveri si confondono. Riscopriamo la bellezza divina dei poveri nella consapevolezza che un nuovo umanesimo nasce dall’amicizia con loro. Sono loro la bussola sicura per la nostra vita».

 

Ma Riccardi va oltre, e sulla scia delle parole di Sepe interpella le istituzioni, chiamate a mettere al centro delle loro scelte la lotta a tutte le forme di povertà. «Non si può governare un Paese senza la cura di tutte le forme di povertà che l’attraversano». E richiamando le grandi voci della storia stigmatizza l’assurdo silenzio e l’inaccettabile taglio alle forme di sostegno economico verso i poveri.

 

Non può mancare il riferimento alla criminalità organizzata, cancro di molte società del Sud: «Se la politica istituzionale non affronterà efficacemente il problema delle povertà, camorra e mafia risponderanno con le loro armi alle carenze istituzionali. Solo se sentiamo dentro di noi il dolore per coloro che soffrono ingiustizie, miserie, mancanza di lavoro, di casa, prostituzione, disabilità, carcere, mancanza di famiglia, potrà esserci in noi e intorno a noi l’inizio del cambiamento. Il nostro dolore sarà l’inizio della speranza».

 

Forti anche, il giorno successivo nella basilica di San Domenico Maggiore, le parole conclusive del presidente della Sant’Egidio Marco Impagliazzo, il quale, raccogliendo la vastità dell’impegno nella lotta alla povertà da parte dei tanti movimenti ecclesiali e associazioni presenti dispiegatosi nei 13 gruppi di studio, mostra a tutti un cammino in parte già avviato, e soprattutto la presa di coscienza che un grande passo avanti ci sarà solo nella misura in cui sapremo metterci in rete e lavorare insieme: «La grande comunione tra i movimenti e le associazioni ecclesiali è stato sicuramente il dato più atteso e sinonimo di speranza. Ci siamo ritrovati l’uno nelle parole dell’altro in una grande sinfonia di cuori e di progetti. Quando ci si incontra senza competizioni si diventa tutti migliori. I poveri danno valore anche alla più piccola delle nostre esperienze. La potenza dei poveri sta nel provocarci all’amore ci insegnano e ci aiutano ad amare. Dobbiamo attingere alla testimonianza delle prime comunità cristiane dove l’amore per i poveri era primario. Recuperare il senso vero delle città affinché i poveri diventino protagonisti».

 

Fondamentale la condivisione tra le generazioni, adulti e giovani insieme. L’amicizia con i poveri è fondamentale nella formazione dei giovani. E a riguardo dei bambini, citando l’esperienza della Casa Famiglia Ferraro, riporta le parole di Elisa Ferraro: «Spesso dinanzi a situazioni di degrado sociale e umanitario ci nasce il desiderio di cambiare città. Invece no. Dobbiamo rimanere e cambiare con il nostro amore concreto il volto delle nostre città».

 

Infine l’annuncio atteso: il Cardinale Sepe desidera che questo convenire a Napoli sulla povertà possa ripetersi ogni anno, anche perché, conclude Marco Impagliazzo, «oggi dopo questi tre giorni vissuti insieme ci sentiamo più vicini, più amici, ed abbiamo bisogno di condividere questa amicizia».

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