Navarro-Valls, con quel nome poteva dire quel che voleva
Spagnolo di Cartagena, sempre elegantissimo, impeccabile, acuto, avrebbe potuto fare l’attore o il comandante di pilota; medico, consacrato e giornalista lo era già. Quelle “professioni”, cioè, che debbono rendere conto all’altro del mondo che cambia, della gioia e del dolore, della bellezza e della verità. Navarro-Valls rassicurava, Navarro-Valls indicava direzioni di marcia, Navarro-Valls mediava, Navarro-Valls correggeva il tiro. Navarro-Valls, soprattutto negli ultimi tre o quattro anni del pontificato di Giovanni Paolo II, divenne colui che meglio interpretava e più raccontava il pontefice venuto d’Oltrecortina che si trovava di fronte al problema della sua decadenza fisica mentre il mondo faceva la guerra, mentre la sua Chiesa cattolica pativa i morsi del fin de règne.
Joaquin Navarro–Valls, spagnolo, per 22 anni a capo della Sala Stampa vaticana, dal 1984, numerario dell’Opus Dei, è morto ieri a Roma all’età di 80 anni. Corrispondente da Roma per il quotidiano spagnolo ABC, aveva introdotto l’idea di “portavoce papale”. Di aspetto nobile, poliglotta e buona penna, aveva il gusto per il nuovo, anche perché dovette traghettare la compassata comunicazione vaticana nell’era digitale. Nel far questo, soprattutto agli inizi, fu duramente contrastato dai “monsignori curiali”: che ci faceva quel bellimbusto in doppio petto sugli schermi del mondo intero per parlare a nome del papa? Poco alla volta, però, parando un colpo dietro l’altro, riuscì persino a farsi amare in Curia.
«Sia Giovanni Paolo II sia don Stanislaw – il segretario personale del papa, oggi cardinale – apprezzavano la sua professionalità e il tratto non clericale con cui affrontava le questioni», commenta Luigi Accattoli sul Corriere della sera. Esempio? Nel 1996 confessò che il papa soffriva di Parkinson: una novità assoluta nelle logge vaticane, dove veniva celato ogni male dei pontefici, “per proteggerli”, ma soprattutto per non infrangerne l’autorità. Superò quel tabù, come tanti altri.
Dopo la morte di Giovanni Paolo II, Navarro-Valls si riciclò opinionista per la Repubblica, ma non riuscì mai veramente a metabolizzare la morte di colui per il quale aveva dato gli anni più influenti e attivi della sua vita. Agli amici – a Pippo Corigliano in particolare, compagno di avventure comunicative all’Opus Dei – confidava di soffrire di un filo di depressione, il che lo rendeva se possibile ancora più affascinante, perché finalmente umano.
Personalmente lo ricordo in occasione dell’affaire Milingo, di cui mi occupai tra 2001 e 2002: prestò grande attenzione perché si evitassero contraccolpi sull’immagine del papa, senza impazienze e senza timori. Tutto andò bene, alla fine, il caso si sgonfiò, anche per i suoi preziosi consigli. Mi diede fiducia, non censurò nulla del libro in uscita, caldeggiò il passaggio in televisione, sostenne la verità, quella di quel momento ovviamente.
Col nome che portava, con la faccia affabile e con l’eleganza dei tratti che si ritrovava avrebbe potuto dire qualsiasi cosa e in ogni caso lo si sarebbe apprezzato.