Nato per il sassofono

L’estate di Francesco non è trascorsa come quella di tanti suoi coetanei quindicenni, fatta solo di divertimento e spensieratezza. Assieme all’inseparabile sax, e accompagnato da suo padre Angelo, ha viaggiato molto, da un palcoscenico all’altro: da New York a Parigi, a Londra, e in Italia, da Perugia, a Roma, Padova, Torino. Nel mezzo un’esperienza unica: quindici giorni a New Orleans, la capitale del jazz, ospite del trombettista americano Wynton Marsalis. È stato bellissimo vivere in mezzo a tanti musicisti – racconta col suo sguardo intelligente, vivace e aperto al sorriso -. Ho abitato nel popolare quartiere francese, dove si suona sempre. Durante il giorno studiavo oltre al sax anche pianoforte, e soprattutto ho preso lezioni dal grande clarinettista Alvin Batiste, grazie al quale ho anche eliminato il difetto di gonfiare le gote quando suono. Ma il momento più bello è aver suonato, come lì si usa, dal balcone della mia camera, con tanta gente che mi ascoltava dalla strada. Ho suonato ogni sera con gruppi diversi e con famosi musicisti fra cui il pianista Ellis Marsalis, padre di Wynton. È stato proprio quest’ultimo a lanciare Francesco nel firmamento jazzistico internazionale dopo averlo ascoltato due anni fa al Pescara Jazz. Colpito dalla sua straordinaria bravura, lo ha voluto con sé nelle tournée estive della Lincoln Center Jazz Orchestra. Anche nell’esibizione romana di fine luglio all’Auditorium, Francesco entra a metà concerto. Sembrerebbe quasi a disagio vicino a quei mostri sacri del jazz. Ma appena imbocca il suo sax contralto diventa irriconoscibile: una vera forza della natura. Siciliano di Vittoria, piccolo paese del ragusano, prodigio musicale che ha già esaltato le platee di mezzo mondo, Francesco Cafiso è un ragazzo come tanti: gioca a calcio, nuota, frequenta un gruppo in parrocchia. Sogna però di avere un’orchestra tutta sua e di diventare un grande musicista. Eppure sa, con l’umiltà e la semplicità che gli si legge sul viso da bambino, che è già una piccola star. Ma non ci pensa. Gli interessa suonare e maturare musicalmente. La migliore presentazione per spiegare il suo precoce talento, la fa suo padre Angelo: Francesco, oltre alla capacità tecnica, ha un cuore pulsante per la musica. Pur non avendo in famiglia una tradizione musicale, Francesco ha avuto la fortuna di avere dei genitori che lo hanno assecondato senza porre nessun ostacolo: Io di jazz non capivo niente – interviene Angelo -. Ascoltavo un po’ di classica, ed essendo inseriti come famiglia nel gruppo del Rinnovamento nello Spirito suonavamo e cantavamo i canti del repertorio in chiesa. Credo comunque che avere una cultura musicale sia importante. Ci accorgevamo tutti che Francesco aveva una marcia in più e non insistere sarebbe stato un peccato. I risultati ci hanno dato ragione, pur con gli inevitabili sacrifici . Francesco studia ancora musica al Conservatorio (sesto anno di flauto) e contemporaneamente frequenta il liceo linguistico perché papà vuole soprattutto che finisca la scuola. Come hai iniziato a suonare? Avevo sette anni e fino ad allora pensavo solo a giocare. Ricordo che ero in macchina con mio papà e ascoltando alla radio un brano di Phil Woods gli ho detto subito: Voglio imparare questo strumento. Dopo qualche mese mi ha comprato il sassofono e portato da un insegnante di musica di Lentini, Carlo Cattano, il quale per vedere come me la cavavo mi ha fatto suonare il Ballo del qua qua. Ma ha visto che non mi piaceva e ha cominciato a farmi fare le scale cromatiche, quelle blues. Carlo, ha capito subito che volevo suonare un certo tipo di musica. Mi ha comunicato soprattutto la voglia di suonare. Certe volte però mi innervosiva perché mi faceva ripetere molte volte i brani, e ogni volta che sbagliavo mi dava un colpetto. Quando hai fatto il tuo primo concerto? A otto anni con l’Orchestra jazz del Mediterraneo e con Gianni Basso. Subito ho fatto esperienze musicali importanti con Maria Schneider, George Gruntz, Bob Mintzer e altri. Poi a nove anni ho vinto il Premio Massimo Urbani, e nel 2002 l’Euro Jazz di Lecco. Dopo ho partecipato a Pescara Jazz Festival dove ho conosciuto Marsalis. Il quale quest’anno a maggio, al Lincoln Center di New York, ti ha fatto una sorpresa… Sì. Siccome era il mio compleanno, mentre entravo sul palco mi hanno suonato Happy birthday al ritmo di jazz. È stato un momento indimenticabile . Com’è il tuo rapporto con Marsalis? Cosa ti ha colpito di lui? È una persona molto squisita, sensibile. Riesce a trovare in ogni persona, in ogni musicista, le migliori qualità. Il rapporto che abbiamo è bellissimo, come tra padre e figlio. Musicalmente, secondo me, è il miglior trombettista vivente. Altri musicisti, anche bravi, spesso si danno delle arie. Invece Wynton, che avrebbe tutti i motivi per farlo, non lo fa. Con me è molto gentile. Mi consiglia sempre. A New York mi ha detto: Man mano che diventerai famoso e bravo, ci saranno delle persone che ti ameranno e ti vorranno bene, come me, tuo padre, la tua famiglia. Contemporaneamente ci saranno anche delle persone che ti odieranno perché non solo sei giovane ma anche famoso e sei riuscito più degli altri. Ricordati che più sono scortesi con te e pieni di invidia, più devi essere gentile con lo- ro. Lui fa così. Cosa provi sul palcoscenico a suonare davanti a tanta gente? Hai paura? No. La paura mi passa quando sono sul palcoscenico. All’Auditorium, per esempio, non ero emozionato per le duemila persone che c’erano. Sono un po’ abituato. Ero emozionato, ancora una volta, di dover suonare accanto a Marsalis. Pensi anche al giudizio che ti può dare la gente, se sei riuscito a suonare bene? Penso a suonare e basta. Il sound del sassofono ti dà delle emozioni che non danno altri generi di musica. E alla fine penso se sono piaciuto a me stesso. Certo è questione di gusti: ad alcuni posso piacere ad altri no. Ieri sera, per esempio, non ero molto contento. Invece a mio padre sono piaciuto. Lui mi dice sempre che non sono mai contento. Mentre conversiamo Francesco continua a muovere le dita come se stesse suonando l’invisibile protesi del suo sassofono. Sembrerebbe immerso solamente nelle note della suo mondo musicale, invece è attentissimo alle domande e alla conversazione, molto familiare, che gli fa dire a un certo punto cose che di solito non dice pubblicamente. Con una semplicità disarmante. Certo quando suono penso anche a divertirmi. Ma soprattutto prima di suonare prego sempre. Mi raccolgo un momento. Se suono col mio gruppo basta una preghiera. Se suono invece con Marsalis, per esempio, ne dico anche cinque. Per me suonare è un modo per lodare Dio. E aggiunge il papà, col consenso del figlio: Noi tutti siamo convinti che il talento di Francesco è un dono di Dio. Non è infatti possibile che ad una età così giovane, già ad otto anni, un ragazzo possa suonare benissimo. Significa che c’è qualcosa che gli è stato dato. E il dono va trafficato. Oltre alla musica c’è qualcos’altro di importante? Mi piace giocare, stare con i miei coetanei, però non troppo: sto meglio coi musicisti. È bello anche stare con gli amici del mio gruppo parrocchiale. Ci divertiamo. Poi ci sono anche le ragazze, facciamo le gite. Abbiamo degli animatori che ci seguono. La domenica si va a messa, poi ci ritroviamo tutti insieme a parlare. I tuoi amici ti fanno notare il fatto che sei famoso? No, perché sono io che non voglio, altrimenti diventa una presa in giro. Capita, però, che ci sono quelli invidiosi. Ma non ci faccio caso. Ci sono anche quelli che si interessano di me in maniera seria, sincera. Alla domanda se c’è un musicista al quale vorresti assomigliare, risponde senza esitazione, battendo la mano sul petto: Sì, a me stesso. Perché cerco di trovare una personalità nella musica che faccio. Prima ad esempio imitavo moltissimo Phil Woods; adesso sto cercando di trovare una mia personalità. Quanto conta la tua famiglia? Queste cose non le posso dire! risponde ridendo mentre guarda suo padre. Allora facciamo uscire il papà? No, va bene anche se c’è lui. La famiglia è molto importante per me. Ad esempio se i miei genitori non avessero capito che io amavo davvero la musica e non mi avessero seguito, oggi non sarei qua. La famiglia mi ha sostenuto e mi segue sempre. Quando si diventa un po’ famosi, si può sbandare, ci si monta la testa. Anche se, riguardo a questo, non credo avverrà. A questo punto squilla il cellulare di Angelo e, approfittando del suo momentaneo allontanamento, lo sollecito a dire qualcosa di più del padre. Sei contento che tuo padre ti segue? Gli sei riconoscente? Sì, lui sa tenermi coi piedi per terra, mi sta sempre accanto. Quando suono, suona anche lui. Però allo stesso tempo fa parte pure del pubblico e quindi mi consiglia. Poi mi accompagna due volte a settimana a Catania, fa tanti sacrifici per me. Gli farei una statua d’oro!. Qual è il più bel complimento che hai ricevuto? Non faccio molto caso ai complimenti che ricevo, che sono tanti. Ma non me li ricordo. Ah, sì! Di uno invece mi ricordo molto bene. A Rimini, in maggio, Salvatore Martinez, durante il convegno di Rinnovamento, davanti a 15 mila persone, dopo avermi sentito suonare mi ha detto: Crea sulla terra, con la tua musica, cieli nuovi e terre nuove. Mi veniva da piangere. Questo penso che non lo dimenticherò mai. Auguri, Francesco. .

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