Nativi digitali ed analfabeti informatici

Come cambia l'educazione ai tempi del web. Ricerca del Censis su un campione di 2.300 studenti della Calabria: le loro conoscenze tecnologiche e il senso di inadeguatezza di insegnanti e genitori
Giovani al Computer

Qual è l’impatto delle tecnologie sull’apprendimento? Come mutano i processi cognitivi? Com’è condizionata la scuola, come luogo primario non solo della trasmissione di conoscenze, ma anche come spazio dove imparare a vivere tutte le regole non scritte della nostra società? E poi il libro: quello cartaceo, dove passare ore e ore a studiare, è giunto al suo triste epilogo? L’era gutemberghiana ha ceduto definitivamente il passo al digitale, agli e-book e alle interfacce grafiche? Proprio come insegna Charles Darwin con la teoria dell’evoluzionismo, dividere il mondo in due fazioni, in questo caso, tra tecnoentusiasti da un lato e catastrofisti dall’altro, risulta una visione un po’ troppo semplicistica. Come altrettanto può dirsi per il relativismo tra nativi e migranti digitali.
Per qualcuno le regole per una buona scrittura non servono quasi più. Tanto, si dice, sul computer c’è il correttore automatico che “sa” quel che vuoi dire e lo scrive e/o corregge lui per te! Ma siamo certi che questa sia la via migliore? Che affidare le giovani menti alla tecnologia sia l’unica strada percorribile? Se l’è chiesto il Censis, conducendo un’indagine campione in Calabria, su 2.300 studenti (delle scuole medie e superiori), con i loro insegnanti e le loro famiglie (circa 1.800). Insomma, uno spaccato dell’Italia più giovane, quella in età scolare, quella che dovrebbe esser interamente composta dai cosiddetti nativi digitali, ovvero i nati dopo gli anni ’90, quella che dovrebbe aiutare gli adulti a tastare il polso della situazione rispetto al tema della tecnodemocrazia, della tecnomediazione, del multitasking, dell’interattività e dell’ipermedialità, ovvero il mondo nel quale viviamo tutti, più o meno consapevolmente. 

La digitalizzazione planetaria e la diffusione del cosiddetto homo zapping, che sta prendendo il posto dell’homo videns di Giovanni Sartori, il superamento del villaggio globale di Marshall McLuhan, le nuove epistemologie, etologie e ecologie che la tecnologia sta imponendo a livello globale, sono tutte sfaccettature sul tema che linguisti, psichiatri, sociologi, psicologi, ma anche giornalisti e professori universitari, stanno man mano affrontando.

Ad esempio, come dimostrano alcune ricerche condotte in Perù, non basta aver un pc per ogni studente per far aumentare il rendimento scolastico, tant'è che il copia-incolla dei materiali reperibili online ha ormai soppiantato la tradizionale copiatura dell’ultimo minuto per lo studente poco diligente. Inoltre, portare le banda larga in tutte le classi, come auspica Francessco Profumo – intervenuto alla presentazione della suddetta indagine del Censis – sembra l’unica via per arrivare alla modernizzazione del Bel Paese, perché questa non può che partire delle scuole, quest’ultime da intendersi anche come avamposti dove ottimizzare il capitale riconducibile alla singolarità di ogni uomo, l’unico che può contribuire all’uscita dalla crisi nera che dilaga in tutta Europa.

Non mancano in tutto ciò i timori degli insegnanti. Spesso si sentono inadeguati, come analfabeti digitali, rispetto alle competenze dei loro stessi studenti. E da qui le proposte più intrepide di classi in cui i testi sono scritti in collaborazione, dove le lavagne elettroniche diventano la norma, dove gli alunni spiegano il pc ai professori, il tutto, però, partendo da un punto: la tecnologia va usata coscientemente e razionalmente per piegarla ai nostri bisogni e per sfruttare il suo enorme potenziale per il bene comune.

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