Natale di guerra di un poeta

Dicembre 1917, si profila ancora un Natale di sangue. Mentre le truppe austro-germaniche sono impegnate sul fronte italiano, da Monaco di Baviera Rainer Maria Rilke scrive alla “cara mamma”…
Ritratto di Rainer Maria Rilke (Leonid Pasternak)

Austriaco di origine boema, Rainer Maria Rilke è uno dei poeti che ha maggiormente influenzato, per le nuove dimensioni della forma e del linguaggio esplorate e fissate, la poesia della prima metà del XX secolo europeo. Autore di opere sia in prosa che in poesia, è famoso soprattutto per le Elegie duinesi, i Sonetti a Orfeo e il romanzo I quaderni di Malte Laurids Brigge. Morì prematuramente di leucemia acuta nel 1926 a soli 51 anni. La sua tomba si trova a Raron, piccolo comune svizzero del Canton Vallese, nel cimiterino attiguo alla chiesa tardo-medievale di San Romano.

Dotato di una sensibilità esasperata, per tutta la vita Rilke andò vagando per l’Europa, con puntate anche a Tunisi, Algeri ed Egitto, nell’angoscia di sentirsi un “senza patria”. Ebbe con la madre Sophia (Phia) un rapporto complesso e profondo. Fu proprio lei, infatti, a intuire le capacità poetiche del figlio e a sostenerlo con tutte le sue forze contro la volontà del padre, che lo voleva ufficiale dell’esercito, tanto che il conflitto sul futuro di lui portò alla separazione dei due coniugi.

Per ogni 24 dicembre, dai suoi vari domicili, Rainer (René per i famigliari) scriveva alla “cara mamma”, lei pure avvezza agli spostamenti anche per motivi di cura, una lettera natalizia in cui non mancava mai di accennare al consueto appuntamento serale delle sei, ora convenuta per celebrare insieme, sia pure a distanza, la nascita di Gesù. Era un punto fermo nella drammatica ricerca di Dio perseguita da Rilke, un momento intimo e tanto atteso da entrambi che unì di anno in anno madre e figlio nella preghiera e nel ricordo. Scritte ininterrottamente dal 1900 al 1925, queste lettere oggi costituiscono un classico dell’amore filiale.

Dall’edizione Passigli di questa raccolta natalizia vengono qui riportati brani della lettera che il poeta inviò a Phia da Monaco, Hotel Continental, il 19 dicembre 1917:

Mia buona e cara mamma,

ecco tornata la nostra sacra ora natalizia, con la quale riprendo e coltivo vecchie abitudini dell’infanzia: celebriamola nella più pacifica comprensione, la vecchia ora delle sei. Un anno fa, quando ti spedii da Vienna la mia lettera di Natale, pensavo senza volerlo che il prossimo Natale il mondo sarebbe stato, doveva essere di nuovo in pace. Non lo è, e se la consapevolezza del suo essere ferito e colpito senza sosta incombe su ogni giorno e su ogni notte, quanto questa consapevolezza è resa più piena e difficile dal vivere proprio questa santa sera, la sera in cui alla terra nacque il Salvatore, il Salvatore misconosciuto, maltrattato, sacrificato del mondo. L’anno scorso non c’era nessuno nella Victorgasse, e io non so se quest’anno sopporterei lo splendore di un albero di Natale né se persino il regalo più minuscolo sarebbe un peso troppo grave per la mia mano. L’aria è tanto pesante che oppone resistenza a ogni oggetto che si è costretti ad afferrare e tenere in mano… e il tremolare di ogni luce, ben lungi dall’essere uno scintillio, assume il significato dell’insicurezza senza nome nella quale viviamo. Chi ha il cuore per celebrare, chi avrà la forza per intonare un canto natalizio? Chi potrà inginocchiarsi e non pensare a nient’altro che alla solennità? […]

E tuttavia, cara mamma, il fatto che ancora una volta ci venga chiesto di accogliere la santa festa in un mondo tanto funestato ci mette alla prova, per vedere se sappiamo celebrare al di là di noi stessi. Non noi stessi infatti celebriamo in questo bambino nato santamente, ma le forze dello spirito altissimo. E non la sua dedizione nei nostri confronti, perché l’abbiamo disdegnata e negata e non le abbiamo permesso di avvicinarsi. È lo spirito in sé, la sua schietta metamorfosi in un bambino visibile, la sua solitudine e innocenza, il suo essere in pericolo con noi che preghiamo, e lo facciamo con animo devoto. […] Questo bambino nella sua ineguagliabile povertà costituisce per noi il sito estremo del mondo, il termine della luce dei nostri occhi, il confine del nostro cuore: per questo è tanto piccolo, è un bambino venuto da lontano e non cresce se non sulla croce piantata in mezzo al nostro cuore. […] Tue, cara mamma, siano quest’anno la nostra riflessione e la preghiera comune, che ci riuniscono e allietano l’uno nell’altro.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons