Natale 2018 e due uova a Ywa Tha Ngyi

Un viaggio in un quartiere periferico di Yangon, in autobus, in mezzo alla gente, per partecipare ad un programma di aiuto alimentare per circa 260 bambini dove la malnutrizione è all’ordine del giorno

Da Yangon per arrivare a Ywa Tha Ngyi ci vogliono più o meno due ore di autobus: in taxi sarebbe troppo costoso e poi voglio provare cosa significhi, ancora una volta, viaggiare come tutti, sugli autobus popolari senza aria condizionata delle periferie del Myanmar: un’esperienza unica. Gente da ogni parte, polvere, caldo, musica e tanti volti sorridenti e sorpresi di vedere uno straniero, con una macchina fotografica al collo, in quei luoghi, su quella strada, non certo per turisti. Eppure io mi diverto da matti e rispondo con un sorriso e qualche parola in birmano a tutti. Festa e gioia di vivere, direi. Poi si arriva al fatidico posto che nemmeno le cartine geografiche indicano. È in genere allagato, o altrimenti polveroso nella stagione secca. Siamo alla periferia della periferia della periferia. Con grande sorpresa, l’amico che mi accompagna ha contatti con le autorità locali, con i monaci buddhisti, con gli indù e possiamo accedere a un’area altrimenti off limits. Si chiama R.R. e ha 62 anni. Dalla sua forza ne dimostra 19 e dalla saggezza almeno 120. Ci aspettano in quel quartiere, in 5 posti diversi, circa 260 bambini, le loro famiglie ed anche due monaci buddhisti nei loro templi. La maggioranza sono appunto di religione buddhista mentre tutto il nostro staff è cristiano: i monaci buddhisti e tutta la gente sa di questo e apprezza che dei cristiani facciano una cosa del genere per la loro gente…

Il progetto consiste nel fornire due uova alla settimana a ciascun bambino del distretto (sono circa 700) come progetto nutrizionale. Riusciamo ad arrivare solo a 260 per il momento. Gli aiuti arrivano principalmente dalla Svizzera e dall’Italia, da Latina e dai castelli Romani, dove molti bambini, insegnanti e tante famiglie vogliono far qualcosa per questi bambini dall’altra parte del mondo. Quando si è trattato di distribuire le uova, stavolta, essendo l’ospite d’onore, è toccato a me. Solo che «per vedere bene un prato devi inginocchiarti», diceva Ermanno Olmi e cioè per vedere bene quegli occhi, quelle faccette dipinte con la crema thanaka, quella mamme e papà, ho dovuto abbassarmi e poi inginocchiarmi, altrimenti mi sarei perso lo spettacolo: uno spettacolo per il quale ero venuto appositamente. E più i piccoli protagonisti si facevano avanti verso di me per ricevere le uova e più dovevo abbassarmi. Così, ben presto mi sono ritrovato davvero in ginocchio, a consegnare due uova per bambino (e poi anche 3 penne per scrivere e 6 quaderni scolastici). Un bambino, due, tre… e ad un certo punto ho sentito che qualcosa scendeva dai miei occhi, qualcosa di caldo che solcava le mie guance: così, in mezzo alla gente, davanti a tutti loro.

Davanti a me avevo uno spettacolo unico al mondo, per il quale avevo preso un aereo, due ore di autobus polveroso, stanchezza, ecc. : e lui, loro erano finalmente davanti a me, li vedevo. E dietro di me tanti in Italia che mi avevano “inviato” per portare la loro solidarietà, parola nuova e importante nel vocabolario umano. Ho capito che stavo vivendo in un presepe vero, vivo con dei cuori che battevano sul serio e non erano delle statuine di gesso: con degli occhi neri che mi guardavano e mi dicevano grazie. «Buon Natale, amico mio», ho risposto. Mai ho vissuto in un presepe vero, in carne ed ossa. E di quel presepe non ero certo uno dei magi, ma mi sentivo piuttosto l’asino, che col suo respiro riscaldava l’aria. Ecco, carissimi lettori di Città Nuova: buon Natale anche a tutti voi da Ywa Tha Ngyi. Buona Natale e tutti coloro che faranno qualcosa per gli altri, per chi non ha nulla, per chi è su di una strada. Quelle mamme di Ywa Tha Ngyi che mi guardavano e ridevano felici mi sono sembrate quel volto della giovanissima ebrea, che aveva dato alla luce quel bambino indifeso, che non aveva posto negli alberghi di Betlemme. Questo è stato il mio Natale 2018. Quegli occhi neri di quei bambini erano più lucenti di qualsiasi luce led moderna e rimango ancora accesi dentro la mia anima. Penso non si spegneranno mai.

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