Nasce la Fondazione Teatro Valle Bene Comune

Dopo oltre due anni di occupazione l'esperienza romana si trasforma in una realtà istituzionale. Partecipazione attiva, decisioni collettive e turnazione delle cariche i punti cardine dello statuto presentato ai giornalisti e depositato in questura. Tra i sostenitori dell'iniziativa Stefano Rodotà, Andrea Baranes, Fabrizio Gifuni e Fausto Paravidino
Teatro Valle a Roma

È diventato il simbolo del difficile rinnovamento culturale del nostro Paese, ricevendo riconoscimenti autorevoli e attestati non solo in Italia ma anche all’estero. Ora, dopo oltre due anni di occupazione del Teatro Valle di Roma – palcoscenico storico della prosa italiana che vide, tra l’altro, nel '21, l’esordio dei Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello –, trasformato nella punta avanzata della protesta dei lavoratori dello spettacolo dal giugno del 2011, è nata, il 16 settembre 2013, la Fondazione Teatro Valle Bene Comune, riconosciuta da un atto notarile e presentata ieri alla città alla presenza di una platea gremita di cittadini, artisti e operatori.

A raccontarla sono stati Stefano Rodotà, giurista, Fabrizio Gifuni, attore, Fausto Paravidino, attore, regista e drammaturgo, Andrea Baranes, direttore di Banca Etica, Silvia Gallerano, attrice vincitrice del Fringe first award di Edimburgo 2012, ed Enrica Flores D'Arcais, head of business development and communications dell'European cultural foundation (che ha premiato l'esperienza del Teatro Valle Occupato).

La Fondazione Teatro Valle Bene Comune è uno strumento che deve concretizzare e mettere su carta i desideri, le istanze e le pratiche che hanno portato fin qui l’esperienza nata dall’esigenza di prendersi cura di questo spazio. Il patrimonio della Fondazione è molto complesso ed è composto da azionariato (cinquemila soci fondatori), artisti e dal know-how politico, artistico e sociale. La Fondazione si basa su uno statuto che poggia sul principio di partecipazione attiva, decisione collettiva e turnazione delle cariche. L’intervento di Stefano Rodotà ha sottolineato che nella storia italiana vi sono state delle lotte sociali – come quella sullo Statuto dei lavoratori – che hanno avuto un esito istituzionale, necessario per fondare ciò che già era stato fatto e per rafforzare le azioni successive da compiere. Il raggiungimento della Fondazione Teatro Valle Bene Comune non è quindi la fine di una lotta, ma un passo significativo della lotta stessa verso un ulteriore avanzamento.

L’esperienza del Teatro Valle va quindi giudicata tenendo in considerazione ciò che sta avvenendo: ovvero l’invenzione di un nuovo modello istituzionale che riconosce il bene comune. Rodotà ha tuttavia sottolineato che la Fondazione non è l’unico approdo istituzionale possibile per il riconoscimento dei beni comuni, perché ogni comunità ha una sua specificità da cui deve partire per trovare un suo modello e «questa è una ricchezza, in una fase in cui stiamo creando i beni comuni».

Lo statuto della Fondazione, ha poi continuato Rodotà, è «un modello impeccabile, di altissimo rigore giuridico», che legittima e conferisce un dato istituzionale a questa esperienza. Si tratta di un raggiungimento che si può riassumere sotto due punti di vista: da una parte, si tratta di un approdo istituzionale che dimostra la forza, la capacità di progettare con rigore un risultato istituzionale, e dall’altra, la creazione di questo nuovo soggetto è una realtà che gli altri soggetti istituzionali «non possono più trascurare». E a marzo 2014 si annuncia il debutto della prima produzione artistica, Il macello di Giobbe, a cura di Fausto Paravidino, con Filippo Dini protagonista, autentica scommessa in quanto produzione "partecipata".

Tuttavia, dietro la nascita della Fondazione Teatro Valle Bene Comune non c'è nulla di concluso e definitivo: bisogna ancora oggi immaginare e costruire insieme la vita della Fondazione. Essa traduce la costante vocazione di apertura e di condivisione nel riconoscimento che il bene comune si basa sul libero accesso, sulla non discriminazione e non esclusione, e sulla partecipazione diretta, sulle decisioni per consenso e sul superamento del concetto di delega.

Tra i vari interventi quello dell’attore Fabrizio Gifuni: «Per me, da attore, ho condiviso e guardato con un affetto incredibile questa esperienza; ora è arrivato il momento di guardarlo con serietà: non c’è più nessun alibi per trascurare questa esperienza. Ci sono persone che hanno dedicato il loro tempo per stare qui, persone che hanno un lavoro nonostante la crisi imperi. Persone che hanno dedicato il loro tempo a uno dei modelli possibili e oggi è arrivato il tempo di rifletterci seriamente (…). Ho sempre pensato che i teatri dovevano essere delle piazze per l’intera città: non devono essere dei luoghi a sé stanti. Non esiste il tempo delle cose serie e il tempo libero in cui sta tutto il mondo dell’arte: esiste solo il tempo della nostra vita. Tutto quello che succede qui dentro è profondamente collegato a quello che oggi succede in Italia».

Il regista e drammaturgo Fausto Paravidino: «Qual è il valore quindi di questo teatro? Del teatro in generale? Allora intanto mi verrebbe da dire che noi stiamo cercando di fare quello che altri non possono fare: riappropriarci del tempo di fare ricerca, e se non troveremo quello che stiamo cercando pazienza, continueremo a cercare (…). Se il teatro quindi non produce numeri, a che cosa serve di specifico? Produce partecipazione: costruzione di una comunità attorno a una storia. È questa la sua importanza sociale».

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