Nasce la città della musica

Roma, 21 aprile. Era da parecchio che la città eterna non festeggiava un compleanno così. In cinquantamila col naso all’insù, fra gli spazi immensi del “Parco della musica” – tre ettari in zona Flaminio – a meravigliarsi per gli “scarabei” o, come piace ad altri, “liuti” di Renzo Piano. Cioè le due grandi sale – di 1200 e 700 posti rispettivamente – appena terminate: che all’esterno, rivestite di lastre di piombo grigio belga sopra il travertino dei pavimenti, appaiono una continuazione “moderna” delle tante cupole della capitale. In un immaginario concerto architettonico fra antico e contemporaneo. “Fabbrica della musica”, hanno anche chiamato il complesso. Grandioso. Perché, oltre alle sale da concerto, esso ospita la più grande sala d’incisione europea, un altro ambiente per le prove dei 150 orchestrali di Santa Cecilia; e poi il museo degli strumenti musicali, la biblioteca, il museo archeologico. Inevitabile infatti – siamo a Roma – essersi imbattuti, ad inizio lavori, in un domus di età imperiale, di cui restano visibili le fondazioni a cielo aperto e una collezione dei reperti, fra cui una splendida antefissa in terracotta. Certo, ci sono voluti quasi settant’anni per questo giorno. Sembra incredibile, ma dal 1936, quando un “evento” mussoliniano decise di spazzar via col piccone il Teatro dell’Augusteo che rivestiva, dentro e fuori, il Mausoleo di Augusto, Roma era rimasta senza una sala da concerto propria. E la sua istituzione musicale più celebrata al mondo, l’Accademia di Santa Cecilia, orfana di una sala che aveva visto sul podio musicisti come Walter, Kleiber, Furtwängler e Mahler in indimenticabili stagioni artistiche, trasmigrare nell’attuale Auditorio Pio in via della Conciliazione. Fra le proteste accorate, con gli anni sempre più alte, di ogni persona con il senso della civiltà. Mentre all’estero, Giappone e Spagna in testa, si moltiplicavano gli auditori non solo nelle capitali, ma nelle città di provincia, da noi la musica diventava una specie di cenerentola della cultura… C’era insomma una ferita, che aspettava di essere rimarginata. Dopo anni di progetti, rinvii, entusiasmi e ristagni, si riparte. E bisogna dare atto alle ultime amministrazioni capitoline di aver avuto il coraggio di perseverare in una impresa che non prevedeva solo la ricostruzione di un Auditorium, ma la nascita di una vera “città della musica”. Dove la gente venga a sentire una “polifonia di musiche “, come ha detto Luciano Berio, presidente di Santa Cecilia ed autore aperto al contemporaneo. “Musiche diverse, non solo la classica, ovviamente al primo posto. Ma brani europei e non solo, di diverse tradizioni; generi differenti che, purché siano belli e ben eseguiti, possono coinvolgersi in contemporanea nelle tre grandi sale”. E poi spettacoli multimediali, produzione di prosa, balletti. E già l’infaticabile Berio è al lavoro con Peter Stein… Del resto, Renzo Piano, progettando questa sua opera “prediletta”, è convinto che essa serva a “coniugare il sacro e il profano”: l’esecuzione di musica “alta” e la vita della gente. Perché questa non è solo la “casa di Santa Cecilia” – come ha affermato il sindaco Veltroni – ma una città, dove si viene a stare e a passeggiare. Fulcro del complesso è infatti l’area all’a- perto, che fronteggia le grandi sale, cavea per i concerti e insieme “piazza” dove incontrarsi, passeggiare, conversare. In effetti, è quanto sta accadendo oggi: mescolata fra i vip, c’è la folla dei romani, venuti a festeggiare, una volta tanto, un “evento” autentico, una “gloria per Roma”, come ha affermato il presidente Ciampi, inaugurando il concerto d’apertura e la successiva maratona musicale dalle undici e trenta sino a mezzanotte. Nella quale si realizza quella complementarietà fra i vari generi musicali e artistici che vorrebbe essere la cifra culturale della nuova “città”. Perché il ritrovarsi in uno spazio vivibile dove forme d’arte diverse – musica e architettura – convivono tranquillamente, e dove classica, pop, jazz e folk si alternano e si susseguono con naturalezza, dice, secondo noi, da sé un determinato indirizzo culturale: l’arte è una, pur nella varietà delle manifestazioni, tutte legittime “se sono belle e ben eseguite”. Un’idea forte, da passare alle nuove generazioni. Se ne ha un assaggio in questa stessa giornata inaugurale. Alle undici e trenta, nella sala dei milleduecento (poltrone rosse, legno di ciliegio) l’orchestra e il coro ceciliano, alla presenza di Ciampi, danno il via alla festa con Rossini, Petrassi (qui con i suoi 98 anni) e l’immancabile Allelujah di Händel, in un’esecuzione elettrizzante. Acustica splendida, che risalta ancor meglio quando Uto Ughi si produrrà col suo Guarnieri in Tartini e Saint-Säens: vibrano gli armonici del violino, i pizzicati, lo strumento sembra un’orchestra. Ughi, inesausto ricercatore di acustica, è soddisfatto completamente: e non è poco. Lo è anche Uri Caine che segue con l’Ensemble The Mahler project, in una splendida contaminazione fra jazz e classico; come lo saranno, più tardi, Nigel Kennedy con il suo Vivaldi pop, Ludovico Einaudi al pianoforte con l’album I giorni e a mezzanotte Patti Smith in Words and music, che concluderà la giornata di festa. Certo, non tutto è ancora completato. Manca all’appello la grande sala di 2700 posti, di cui si vede lo scheletro in cemento armato, che sarà poi rivestito di ciliegio e di piombo e di cui si prevede l’inaugurazione per il 21 dicembre. Restano alcuni problemi: si trasporterà qui l’immenso patrimonio bibliografico e musicale di Santa Cecilia? Come verrà ristrutturato il quartiere Flaminio, in modo che la “città musicale” non sia un monumento a sé stante, ma in simbiosi con l’ambiente. E come trasmettere ai giovani questo ardito progetto culturale? Il fatto che il ministro Moratti abbia promesso ad Ughi la presenza della musica ad ogni livello scolastico, dà speranza. Quello che, a nostro parere, occorre, una volta passata l’euforia inaugurale, è la continuità. Cioè, dare il via, già da subito, ad una stagione culturale e artistica. Il fatto che sino a giugno, siano previsti ad ogni week end dei programmi concertistici (classici e no) è un buon segno. Questa infatti – come ha detto il maestro Chung – “è per Roma una sfida da non perdere”. Ce lo auguriamo. oma caput music Numeri e dati della “città”: – sala grande per concerti da 2700 posti; – sala media (concerti e spettacoli multimediali) da 1200; – teatro musicale, con fossa per l’orchestra, cambio scene e costumi, 700 posti; – cavea di 3000 posti all’aperto; – giardino pensile di 3 ettari. – ambienti per attività commerciali, ricreative, di studio ed esposizione. L’impresa, iniziata nel 1993, è costata 140 milioni di euro.

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