Narges Mohammadi, il Nobel ad una donna scomoda

Mentre l’Iran presiede (non senza indignate proteste) il Forum sociale del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, Narges Mohammadi viene insignita del Premio Nobel per la Pace per “la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà”.
L'attivista iraniana per i diritti umani Narges Mohammadi a un incontro sui diritti delle donne a Teheran, Iran, il 3 luglio 2008. (AP Photo/Vahid Salemi)

Nei giorni scorsi Taghi Rahmani (64 anni), giornalista e attivista iraniano in esilio, ha partecipato a due appuntamenti in Italia: il 15 novembre a Roma e il giorno dopo a Bari. Rahmani è stato definito da Reporter senza frontiere (Rwb) “il giornalista più spesso incarcerato”: tra il 1981 e il 2005 ha trascorso complessivamente più di 13 anni in carcere, in Iran. Dal 2012 vive in esilio in Francia con i 2 figli (Ali e Kian, un ragazzo e una ragazza, gemelli 17enni). La moglie di Taghi e madre dei due ragazzi, è Narges Mohammadi (51 anni), giornalista e difensora dei diritti delle donne e di tutti, che il 10 dicembre prossimo riceverà il Premio Nobel per la Pace 2023. E saranno probabilmente il marito e i 2 figli a rappresentarla a Stoccolma, perché Narges è in carcere a Evin, alla periferia di Teheran.

Marito e figli non la possono incontrare da 12 anni: per loro è impossibile entrare in Iran e per lei uscire dal carcere, dove sta scontando una pena di 11 anni e 10 mesi, ma ha subito condanne per oltre 30 anni in 5 processi. È stata anche condannata a 154 frustate e a 2 anni di esilio interno, con divieto di appartenenza a movimenti della società civile e di rilasciare interviste o pubblicare qualsiasi cosa sui social. È stata giudicata colpevole di aver fondato un gruppo illegale, il Centro per i difensori dei diritti umani in Iran (Dhrc), insieme a Shirin Ebadi, un’altra grande donna iraniana, Premio Nobel per la Pace 2003, che vive in esilio dal 2009.

Senza contare l’impegno di Narges contro la pena di morte in Iran, la sua insopportabile (per il regime) ossessione è soprattutto quella di non voler indossare l’hijab, il velo obbligatorio, ossessione che, com’è noto, è già costato la vita a diverse iraniane: la più famosa è certamente Mahsa Amini, la 22enne curda ammazzata di botte a settembre 2022 dalla polizia morale per un hijab che non copriva del tutto i capelli. Ma sulla testa ostinatamente non velata di Narges incombono anche reati “gravissimi”, a detta dei giudici iraniani, contro la sicurezza nazionale e per la diffusione di propaganda contro il sistema. E questi reati li ha commessi non solo fuori, ma anche dentro il carcere, per esempio con lo sciopero della fame dei giorni scorsi (dal 6 novembre), dopo che le era stato rifiutato il ricovero in ospedale a meno che non indossasse l’hijab. E lei si è rifiutata di farlo. Dopo 5 giorni, con notevoli misure di sicurezza è stata portata in ospedale, secondo le autorità “in accordo alle regole e protocolli”. In realtà senza velo. Dopo la visita (Narges ha sofferto per un infarto al cuore) è stata subito riportata in prigione.

Da Evin ha fatto sapere (inviare messaggi all’esterno è naturalmente molto pericoloso anche per chi se ne occupa clandestinamente): «Dopo essere stata ricoverata in ospedale senza dovermi coprire ed essere tornata in prigione, ho interrotto lo sciopero della fame». Si è saputo inoltre che amici e parenti che la aspettavano all’ingresso dell’ospedale sono stati arrestati e interrogati, le loro macchine fotografiche sequestrate, e poi rilasciati. «Il governo temeva che mi vedessero senza velo», avrebbe detto Narges.

A proposito della pena di morte in Iran, di cui Narges chiede spudoratamente l’abolizione, le notizie fatte trapelare dall’organizzazione clandestina (in Iran) Iran Human Rights, raccontano delle condanne a morte eseguite nei primi 10 mesi del 2023, che sarebbero oltre 600, una media di 2 al giorno. La maggior parte delle esecuzioni, per impiccagione, ha riguardato uomini condannati per traffico di droga o per omicidio, ma la motivazione della condanna è sempre da prendere con le molle, tanto più che molti dei condannati erano afghani o membri della minoranza perseguitata dei beluci. Sono state giustiziate anche 15 donne e 5 persone sono state esplicitamente condannate e impiccate per la loro partecipazione alle proteste del movimento “Donna Vita Libertà”.

Narges Mohammadi è stata insignita del Premio Nobel per la Pace nell’ottobre scorso per “la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà” per tutti.

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