Napolitano sulla vicenda Melfi

La risposta del capo dello Stato all’appello dei tre dipendenti Fiat invita tutti ad un “confronto pacato e serio”.
Napolitano

«Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli,

ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla FIAT SATA di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito».

 

Comincia così, con modi diretti e tono amichevole, la risposta immediata del presidente della Repubblica alla lettera appello dei tre operai lucani che si sono rivolti alla massima autorità dello Stato in nome della Costituzione di una repubblica fondata sul lavoro. La vicenda non lascia intravedere la pomposità formale di valletti e corazzieri ma un rapporto diretto con una figura istituzionale che altro non può fare che rimettersi all’autorità giudiziaria e sperare nella ragionevolezza della dirigenza di quella che viene definita «la maggiore azienda manifatturiera italiana» in attesa dell’udienza del ricorso che, ricordiamo, potrebbe ribaltare il decreto del Tribunale di Melfi e riconoscere l’attività di sabotaggio operata dai dipendenti licenziati.   

 

La questione sollevata ci pone fuori dallo stereotipo degradante di chi facilmente immagina, soprattutto al Sud, il lavoratore contento di lucrare lo stipendio senza lavorare. Come ad esempio qualcuno, in passato, ha invitato i cassintegrati ad approfittare della sospensione forzata dal lavoro per arrotondare con qualche attività in nero (ovviamente vietata dalla legge). I tre operai dichiarano di sentirsi lesi nella loro dignità: « Per sentirci uomini e non parassiti di questa società vogliamo guadagnarci il pane come ogni padre di famiglia e non percepire la retribuzione senza lavorare». Lo stesso atteggiamento di un Dante De Angelis, il macchinista delle Ferrovie delle Stato licenziato e reintegrato due volte sul posto di lavoro rifiutando ogni compromesso con l’azienda. Come a dire che non si tratta di un atteggiamento anomalo e retorico, ma esprime un fondamentale diritto che, come lo stesso Napolitano sa bene, viene normalmente disatteso in tante situazioni in cui chi lavora non riceve il giusto compenso. Oltre al lavoro nero e le troppe zone grigie tollerate come male minore, abbiamo intere fasce di popolazione escluse dalla retribuzione perché senza alcuna occupazione. Entro il 2011 scadranno i termini di tante integrazioni salariali concesse in deroga, cioè finanziate dallo Stato e dalle Regioni senza intervento delle aziende dichiarate in crisi.

 

In questi giorni vengono avanzate varie ipotesi interpretative sull’atteggiamento tenuto dalla Fiat. Si è in attesa della presa di posizione tecnica della Confindustria che, negli ultimi mesi, ha visto profilarsi la possibilità dell’uscita della multinazionale dell’auto dall’organizzazione sindacale degli imprenditori italiani per superare alcuni vincoli ritenuti di ostacolo alla competitività internazionale dell’azienda. Un precedente che potrebbe diventare utile per molte altre società. Il timore che affiora, subito esorcizzato da molti commentatori, è quello che si voglia portare avanti lo scontro in modo tale da giustificare l’estrema difficoltà di restare in Italia per l’industria dell’auto. Come per ogni altra grande attività produttiva. Diventa, perciò, quanto mai urgente ridefinire le regole del gioco. Se è prevalente, nell’economia globalizzata, la teoria cosiddetta di Wimbledon ( “Non è importante chi gioca ma che la partita sia disputata in casa nostra”) occorre precisare la convenienza del terreno di gioco. Che non può consistere nell’attenuazione dei diritti basilari ma negli investimenti condivisi in ricerca, sviluppo e infrastrutture. E, soprattutto, in legami di fiducia e rispetto reciproco. C’è molto da fare per costruire nuove relazioni industriali in grado di affrontare, come sottolinea il Quirinale, l’«aspra competizione sul mercato globale».

 

La lettera degli operai Fiat di Melfi

 

« Ill.mo Presidente, ci rivolgiamo a Lei, quale massima carica dello Stato e supremo garante della Costituzione, per sottoporre alla sua attenzione una vicenda, la cui eco da diversi giorni ha raggiunto tutti gli organi della stampa nazionale, che non lede soltanto i nostri diritti di cittadini e di lavoratori ma colpisce direttamente i diritti collettivi e generali degli operai e dello stesso sindacato a cui siamo iscritti.

Signor Presidente, per sentirci uomini e non parassiti di questa società vogliamo guadagnarci il pane come ogni padre di famiglia e non percepire la retribuzione senza lavorare. Questo non è mai stato un nostro costume, né come semplici operai né come delegati sindacali aziendali, avendo sempre svolto con diligenza e professionalità il nostro lavoro.

Ci rivolgiamo a Lei, Presidente, perché richiami i protagonisti di questa vicenda al rispetto delle leggi e perché nel suo ruolo di massima carica dello Stato sia da garanzia del rispetto della democrazia, della Costituzione e dello Stato di diritto in modo da ripristinare e garantire il libero esercizio dei diritti sindacali nonché dei diritti costituzionalmente riconosciuti a tutti, all’interno dello stabilimento Fiat Sata di Melfi.

Signor Presidente, le chiediamo di farci sentire lavoratori, uomini e padri».

 

Marco Pignatelli, Antonio Lamorte e Giovanni Barozzino

Melfi 24 Agosto 2010

 

La risposta del presidente della Repubblica

 

«Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli,

ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla FIAT SATA di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale di Melfi. Anche per quest’ultimo sviluppo della vicenda è chiamata a intervenire, su esplicita richiesta vostra e dei vostri legali, l’Autorità Giudiziaria: e ad essa non posso che rimettermi anch’io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate.

Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità "percepire la retribuzione senza lavorare". Il mio vivissimo auspicio – che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT – è che questo grave episodio possa essere superato, nell’attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell’attività della maggiore azienda manifatturiera italiana e dell’evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale".

 

Giorgio Napolitano

Roma, 24 Agosto 2010

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