Napolitano e il ribaltino

Con la nomina dei nuovi sottosegretari è cambiata la maggioranza, ha precisato il presidente della Repubblica. Traendone conseguenze
Giorgio Napolitano

Dacché venerdì 6 maggio sono stati nominati i nuovi sottosegretari, si sono sprecati commenti, biografie, illazioni o difese su ciascuno dei magnifici nove e perciò non vale la pena di indugiare su aspetti personali.

 

Vale la pena invece fermarsi sulla nota che (ancora una volta) ha accompagnato la firma dei decreti di nomina da parte del capo dello Stato, il quale ha rilevato che «sono entrati a far parte del governo esponenti di gruppi parlamentari diversi rispetto alle componenti della coalizione che si è presentata alle elezioni politiche» e che pertanto «spetta ai presidenti delle Camere e al presidente del Consiglio valutare le modalità con le quali investire il Parlamento delle novità intervenute nella maggioranza che sostiene il governo».

 

La presa di posizione di Napolitano non è piaciuta al Pdl, com’è ovvio, mentre il ministro Bossi ha dapprima preso le distanze, rivendicando la competenza esclusiva del presidente del Consiglio alla nomina dei sottosegretari, e poi invece ha riconosciuto la legittimità dell’intervento del capo dello Stato, evidenziando che alcuni dei nuovi membri del governo hanno in passato votato contro la fiducia al governo (persino nell’epico scontro del 14 dicembre!).

 

Questa “ammissione” è importantissima perché aiuta a comprendere nel profondo la portata della presa di posizione di Napolitano. Per far questo, però, bisogna ricordare che il presidente della Repubblica è il garante supremo della Costituzione: un arbitro, non un giocatore. Questa è una condizione indispensabile per leggere il suo operato, che potrà poi essere eventualmente sottoposto a critica (tutti possono sbagliare), ma sarebbe fatale un’attribuzione pregiudiziale.

 

Ebbene, come garante della Costituzione il presidente Napolitano ha preso atto della novità non piccola verificatasi in Parlamento: il mutare della maggioranza che sostiene il governo, rispetto a quella uscita dalle urne. Niente di illegittimo, tutt’altro: la nostra Costituzione non contiene divieti contro le maggioranze mutevoli (è proprio su questo che si fonda il potere del capo dello Stato di conferire l’incarico di formare un governo a colui che, ritiene, possa aggregarne una).

 

Ma è noto come si sia fatta avanti una lettura della Costituzione che va oltre la sua lettera (una Costituzione “materiale”, contrapposta a quella “formale”) e che si appella alla volontà popolare come suprema regola a sostegno del sistema. Al punto che il mutare di una maggioranza fa ritenere che il capo dello Stato sia obbligato allo scioglimento delle Camere.

 

Ma alla “Costituzione materiale” i presidenti della Repubblica credono punto o poco. Ciò che conta è la regola scritta, e questa prevede che il governo abbia la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, della Costituzione). Quindi, la nota del Presidente Napolitano vuol solo dire che: la maggioranza è cambiata; la Costituzione lo consente; la questione è parlamentare e le Camere ne siano investite; nessuno chieda di sciogliere le Camere per questo. Né ora, né in futuro.

 

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