Napolitano criticato per il sì all’intervento in Libia
Il ministro degli Esteri Gentiloni ha risposto in Senato alle interrogazioni sul sempre più probabile intervento militare italiano in Libia citando come esempio negativo da non replicare le “radiose giornate del maggio” 1915, quando cioè una forte e convinta minoranza interventista, con il sostegno del re, del capo del governo Salandra, di gran parte della stampa e ovviamente della grande industria, rese possibile l’entrata del nostro Paese nell’inutile strage della Grande guerra.
Man mano che il discorso sembra ricomparire al centro del dibattito pubblico, si staglia il tono deciso dell’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che nel suo intervento a Palazzo Madama ha voluto ribadire che «generare l’illusione che non abbiamo mai nel nostro futuro la possibilità di interventi con le forze amate in un mondo che ribolle di conflitti e minacce sarebbe ingannare l’opinione pubblica e sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo che non ha ragione di essere nel mondo di oggi, nel mondo uscito dalla Seconda guerra mondiale».
Per questa ragione, colui che è stato per lungo tempo lo storico leader della corrente migliorista del Pci, ha invitato a «evitare ulteriori equivoci e prepararci a ciò che dobbiamo fare, in Libia e altrove, per contrastare l’avanzata del terrorismo islamico».
La chiarezza espositiva di Napolitano ha avuto il merito di aver suscitato diverse reazioni puntuali a cominciare dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha emanato un comunicato esplicito per criticare l’ex inquilino del Quirinale. Secondo Antonio De Filippis, responsabile di Operazione Colomba, "corpo di pace" (volontari impegnati negli interventi civili di pace nei conflitti internazionali) della comunità, «ci sembra “fuori dal tempo” considerare un intervento militare come principale modalità di risoluzione dei conflitti internazionali. Non solo perché lo prescrive la nostra Costituzione, ma perché è sotto gli occhi di tutti come gli interventi in Nord Africa e in Medio Oriente degli ultimi anni abbiano contribuito unicamente a incrementare le violenze, le uccisioni e i rischi per i civili».
Anche Giovanni Ramonda, responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha lanciato un appello per aderire alla giornata di mobilitazione contro la guerra lanciata da Rete Disarmo nelle maggiori città d’Italia per sabato 12 marzo: «Attiviamoci con iniziative pubbliche per fare sentire la voce di chi dice “No” a uno scenario che si promette carico di drammaticità. Le conseguenze di un intervento armato in Libia che vedesse anche l’Italia fra i promotori sarebbero devastanti».
La Comunità Papa Giovanni XXIII chiede piuttosto di sospendere l’invio di armi italiane o prodotte in Italia a Paesi coinvolti nei conflitti armati, fra cui l’Arabia Saudita come più volte ricordato da cittanuova.it anche nell'intervista al Presidente delle Acli Gianni Bottalico.
L’associazione fondata da don Oreste Benzi ci tiene a ribadire che la presa di posizione nasce dall’impegno quotidiano delle centinaia di giovani che, a partire dalle prime esperienze in ex Jugoslavia negli anni ‘90 fino a oggi al fianco dei profughi siriani, operano con azioni non violente a difesa dei civili vittime delle guerre. Per questo motivo siamo fuori, secondo De Filippis, dallo «stereotipo del “pacifismo vecchio stampo”, come lo ha etichettato l’ex presidente Giorgio Napolitano, che si è permesso di etichettare i tanti giovani che ogni giorno e con costanza si impegnano a sostegno delle vittime e contro le guerre e i mercanti di morte».
Ramonda, infine, ha dichiarato che sabato 12 marzo l’associazione scenderà nelle piazze assieme ad altre organizzazioni e movimenti per chiedere un rinnovato impegno italiano per una soluzione politico/diplomatica dei conflitti in corso, e la costituzione di contingenti internazionali di "corpi civili di pace" con compiti di assistenza umanitaria.