Napoli “pari” a Olimpia

Sta per aprire la nuova stazione metro “Duomo” di Napoli con le sue eccezionali testimonianze agonistiche di epoca greco-romana.

Una delle ultime stazioni in costruzione della linea 1 della metropolitana di Napoli è la stazione “Duomo”, nel versante sud-occidentale della città. A quattro livelli, si localizza sotto piazza Nicola Amore (per i napoletani “I quattro palazzi”), che secondo il progetto dell’architetto Massimiliano Fuksas dovrà essere in parte pedonalizzata per realizzarvi le rampe di discesa; visibile in superficie soltanto una cupola ovale in vetro e acciaio patinato, un “occhio” trasparente attraverso il quale i passanti avranno la visione della stazione sotterranea.

In attesa dell’inaugurazione, programmata per il mese di luglio, immaginiamola per un momento come sarà. Ciò che scorgiamo diversi metri al di sotto del piano di calpestio – un basamento, resti di mura, colonne e trabeazioni marmoree, tracce di un pavimento a mosaico – spiega anche l’enorme ritardo dei lavori e le modifiche che si son dovute apportare al progetto originario. I soliti resti archeologici causa di disagi ai cittadini? Sì, ma per la loro eccezionale importanza degni di rimanere in situ, musealizzati secondo un modello, peraltro, che va prendendo piede anche in altre stazioni metro d’Italia e d’Europa, arricchendo così di valori culturali spazi troppo spesso anonimi, percorsi da utenti frettolosi.

Gli scavi iniziati a partire dalla fine del 2003 hanno rimesso in luce una porzione dell’antico ginnasio dove, a partire dal II fino al III-IV secolo d. C., si svolsero giochi diventati famosi in tutto l’Impero – gli Italikà Rhomaia Sebastà Isolympia – equiparati a quelli di Olimpia non solo nella periodicità quadriennale (si svolgevano nella prima metà di luglio e duravano quattro giorni) ma anche nelle specialità atletiche. Con l’aggiunta però di competizioni artistiche e musicali che non potevano mancare in una città fondata presso la tomba di una sirena dal canto ammaliatore: la mitica Partenope. Istituite in onore di Augusto come ringraziamento per gli aiuti ricevuti dopo un devastante terremoto, queste gare furono privilegio di Neapolis, unica metropoli dell’Occidente ad aver conservato lingua, istituzioni, culti e costumi di vita greci-anche dopo essere diventata municipio romano (I secolo a. C.). Lo stesso imperatore Augusto vi assistette nel 14 d. C. già malfermo di salute, poco prima della morte.

Il ginnasio napoletano, non lontano dal quale dovevano essere ubicati anche l’ippodromo e lo stadio, comprendeva non solo palestre e spazi verdi per le esercitazioni della gioventù, ma anche biblioteche e auditori dove era possibile ascoltare filosofi, letterati e musicisti; comprendeva porticati dove passeggiare ammirando le collezioni d’arte ivi raccolte. Ciò che di tale complesso ci è dato scorgere (per ora solo con l’immaginazione) sono i resti di un tempio, probabilmente dedicato al culto imperiale di Augusto, di una pista atletica e di un portico che doveva fungere da punto d’osservazione delle gare, sul cui muro di fondo sono stati ricomposte delle lastre marmoree iscritte, risalenti all’epoca di Domiziano (81-96 d. C.).

Rigorosamente in greco e suddivise in due colonne, queste iscrizioni costituiscono una vera miniera di informazioni sui Sebastà augustei, in aggiunta ad altre testimonianze simili rinvenute sul finire dell’Ottocento ed ora custodite al Mann. La prima colonna registra encomi ed elogi in versi a rappresentanti politici la cui presenza ai giochi dimostra lo stretto legame tra culto tradizionale e imperiale; la seconda si sofferma invece sugli atleti, suddivisi per sesso, età e competizioni (artistiche, ippiche e atletiche), con l’elenco dei vincitori di varie edizioni secondo le specialità. Alle gare artistiche prendevano parte flautisti, citaredi, poeti comici e tragici, pantomimi. In quelle ippiche vinceva il cavallo, biga o quadriga che per prima tagliava il traguardo, con o senza fantino o auriga. Infine le gare ginniche comprendevano il pentatlon, la lotta, il pugilato, il pancrazio (combinazione di lotta e pugilato) e vari tipi di corsa: armata, acrobatica, stadio e doppio stadio (ad alcune di queste potevano prendere parte anche fanciulle).

La lista internazionale di circa 170 vincitori, celebrati nei reperti lapidei della stazione Duomo, dimostra il prestigio di questi giochi di stampo greco, pari ai più famosi concorsi sportivi dell’antichità: per la maggior parte si tratta di atleti originari dell’Asia Minore e dell’Egitto; altri provengono dalla Grecia continentale, da Cipro e dalla Tracia; un piccolo gruppo è composto da napoletani, cui si aggiungono un palermitano e un poeta romano. Tra loro, anche due figure femminili: Flavia Thalassia di Efeso, distintasi nella corsa dei 200 metri, ed Aemilia Rekteina, di provenienza ignota, in quella dei 400.

Quanto al regolamento dei Sebastà, ci è noto da un’iscrizione rinvenuta alla fine dell’Ottocento nel santuario di Olimpia, dove era stata inviata dai napoletani per una sorta di gemellaggio con quel luogo simbolo dell’agonismo. Le gare si svolgevano in due parti, separate da una pausa riservata alle discussioni della giuria e ai riti in onore del divo Augusto (riti permessi in Oriente, ma vietati in Occidente tranne che a Napoli): la prima dedicata agli agoni atletici ed equestri, la seconda alle gare musicali e drammatiche distinte in varie categorie.

Complesse erano le modalità di iscrizione; chi non si atteneva alle regole era squalificato o condannato a multe pecuniarie e perfino a pene corporali (fustigazione). I premi per le gare ippiche e atletiche, secondo la tradizione di Olimpia, erano costituiti da semplici corone di spighe; cospicui invece i premi in denaro per i vincitori degli agoni scenici: potevano arrivare fino alle 4 mila dracme.

Sembra che le Isolimpiadi avessero assorbito una antica gara di tipo ateniese connessa al culto di Partenope, istituita a Neapolis verso la metà del V secolo a. C. in obbedienza ad un oracolo: la “lampadedromia”, ossia la corsa con le fiaccole. Con cadenza annuale, si svolgeva nelle ore notturne e attraversava la città per concludersi al porto, presso la tomba della sirena.

Conferma ulteriormente la spiccata connotazione greca della città il fatto che la Napoli greco-romana non ebbe mai un suo anfiteatro, creazione tipica dei discendenti di Romolo presente anche nei centri minori. I ludi violenti e sanguinosi erano infatti considerati dai napoletani spettacoli, non gare, e quindi distanti dallo spirito agonistico. Chi ne aveva voglia doveva ricorrere agli altri anfiteatri campani, a cominciare dalla vicina Pozzuoli che ne possedeva addirittura due.

Tutto questo evoca la stazione “Duomo”, che abbinando antico e moderno (le discese alle banchine dei treni sono fasciate da fantasmagorici pannelli di acciaio retroilluminati e intagliati che cambiano colore a seconda dei momenti della giornata e delle condizioni meteo esterne) costituirà un motivo in più per designare la metropolitana di Napoli come una delle più belle del mondo.

 

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