Napoli l’ho vista davvero

Cronaca d’un viaggio fuori dagli schemi immaginabili. Da Firenze alla capitale partenopea con un po' di avventure che costellano l'originale itinerario e tutto accade a Pasqua
Napoli

Dopo aver visitato mezza Europa con il camper, m'era venuto il desiderio di vedere Napoli. Diversamente, mi sarebbe mancato qualcosa. Si sa, Napoli non è una città qualsiasi, a prescindere dai luoghi comuni. Ma con che spirito e, soprattutto, con chi visitarla? Finalmente l'idea: ci andrò con un napoletano e per un'intera settimana non guarderò il telegiornale, tanto più che troppe volte vi si parla di questa città solo per fatti negativi.

Una settimana prima di Pasqua, ricevo una telefonata dal mio amico Alberto, napoletano doc trapiantato in Toscana: «A casa sono rimasto solo, mia moglie e mio figlio sono all'estero. Che ne diresti di passare le feste pasquali a Napoli dai miei?». Era il segnale che aspettavo! Di comune accordo fissiamo il giorno per organizzare la partenza: sabato, vigilia di Pasqua. «Alle sei del mattino bisogna essere in macchina col motore in moto – fa Alberto, deciso -. Sai, il viaggio è lungo, possono esserci degli imprevisti…».

Viaggiare per Firenze al mattino presto di sabato è una vera goduria: aria pulita,  niente traffico. Senonché, poco prima di imboccare il raccordo per l'autostrada, ad Alberto viene in mente che bisogna ripassare da casa sua a Bagno a Ripoli, per un'altra operazione… Penso: «Avrà dimenticato la patente, gli occhiali da sole, la colomba pasquale per i suoi…».

Niente di tutto questo. Deve prendere il motorino.Dopo aver armeggiato per qualche minuto, riusciamo finalmente a chiudere il portellone e a sistemare i bagagli e motorino.

Saltiamo dentro l'auto, allacciamo le cinture, avviamo il motore e via a tavoletta verso il raccordo dell'autostrada. Superato il casello, un tantino euforici per  l'inizio del viaggio, cominciamo a cantare canzoni napoletane classiche, Alberto in lingua originale e io in qualcosa che le assomiglia.

D'un tratto, avverto un odore acre di miscela spandersi nell'abi†acolo. Anche Alberto lo sente. Ristabilita una buona qualità dell’aria nell'abitacolo, chiudiamo i finestrini e continuiamo con il nostro repertorio di canzoni napoletane. Non solo, condividiamo ciò che ci sta a cuore, le amicizie, problemi vari, insomma ciò che ci accomuna ai sei miliardi di persone che fuori dalla Panda.

A Fabro decidiamo di fare un primo stop, per rifocillare l’auto di gas, i nostri stomaci di cappuccini e brioche e far riprendere agli arti inferiori la loro posizione naturale.

Squilla il telefonino di Alberto: è don Ciro (il suo papà). Vuole sapere dove siamo, come va il viaggio, a che ora prevediamo di arrivare a Napoli e, da ultimo, qualche informazione sull'amico di Alberto che sta arrivando (cioè il sottoscritto). Lui risponde nella madrelingua, facendo presente, quanto all'ora dell'arrivo, che «ci possono essere imprevisti››. E noi sappiamo che l'imprevisto/previsto riguarda la consegna del motorino a Diana; con la speranza non troppo velata che ci inviti a pranzo.

Si son fatte le due del pomeriggio e poco prima di arrivare al casello Napoli-Caserta, cedo il volante ad Alberto, perché la guida da ora in poi presenta dei "codici" propri a causa dei quali potrei trovarmi impreparato. Sulla tangenziale che ci porta in città un'automobilista, imperturbabile, sorpassa la nostra Panda a pochi cm. dalla portiera. Alberto, anche lui imperturbabile, gli risponde nell'idioma locale e tutto procede regolarmente.

Ed ecco Napoli: la città è davvero estesa, e i vari saliscendi offrono scorci di panorama interessantissimi; poco o niente di quello che so dai media coincide con quello che vedo. Sì, è vero, alcune strade sono sconnesse (per la verità non mancano di simili anche a Firenze).

«Dobbiamo telefonare a Diana che siamo arrivati – esclama Alberto – e chiedere esattamente dove abita. So che sta dalle parti di piazza Plebiscito, ma con i cantieri in corso…». E telefona all'amica. Mi pare di capire che ci aspettano per il pranzo, nonostante siano le tre del pomeriggio. «Speriamo di non creare troppo disagio», osservo. E Alberto: <

Siamo in uno dei quartieri storici, dove convivono popolani e "signori" ; degli antichi palazzi, alcuni sono restaurati, altri… in attesa:  tutti però hanno un cortile interno, utilizzato per le auto dei condomini.

All'altezza del portone della casa di Diana proviamo a fermarci, ma essendo la strada stretta, blocchiamo il traffico alle nostre spalle. Diversamente da Firenze, nessuno protesta, chi può passare passa, gli altri aspettano le nostre decisioni. Dietro la Panda un tassista sembra non abbia nessuna fretta, dietro il taxi alcuni ragazzi su motorini chiacchierano fra di loro; e una volante della polizia davanti a noi "stranamente" viene su in retromarcia e quindi in contromano.

Mentre Alberto parla con Diana, pensando alla viuzza ancora intasata, esco dal portone per dare il mio personale contributo a questa città che mi accoglie. Decido in piena autonomia che la precedenza deve averla il taxi, per un motivo molto semplice: il tassista si guadagna da vivere se porta a destinazione i clienti; lo stipendio dei poliziotti, invece, non subisce decurtazioni se rimangono bloccati nel traffico; quanto ai ragazzi in motorino, quasi sicuramente vanno a trovare degli amici o fanno semplicemente un giretto.

Invito così il tassista a venire avanti, bloccando temporaneamente la polizia, che mi dà retta. I motorini, visto il passaggio, non perdono un attimo, e come per incanto la strada si libera. Intanto Alberto ha parcheggiato la Panda nel cortile, dove veniamo accolti anche dai familiari di Diana. Con l'aiuto del figlio di Diana scarichiamo il motorino in un angolo del cortile e poi su in ascensore fino all'ultimo piano dove si trova l'appartamento di famiglia.

Il marito di Diana, un noto scultore, dopo averci salutati cordialmente, si accomoda sul divano per leggere Il Mattino, mentre lei ci illustra i bozzetti delle sue opere che tappezzano letteralmente le stanze. Dalle finestre si vede una Napoli da "cartolina": piazza Plebiscito e il palazzo Reale, poi il golfo con il Vesuvio fino a Sorrento…. C'è da rimanere incantati; ma non finisce qui: Diana mi propone di salire in terrazzo. Dopo due rampe di scale strette, un panorama stupendo ricompensa ampiamente degli inconvenienti del viaggio. Arrivano intanto sul terrazzo anche Diana e Alberto, che oltre a farmi notare tanti particolari di ciò che vado ammirando, mi informano che il pranzo è pronto. Visto che sono le 15,30, lo stomaco non può che gioire. Ottimo pranzo e atmosfera partenopea, festeggiamenti e brindisi in onore della squadra di calcio del Napoli con contorno di suoni di clacson, trombette, fischi, canti e scoppi di petardi che salgono dalla vicina piazza Plebiscito.

Intanto don Ciro al telefono chiede informazioni circa la nostra posizione geografica. Alberto questa volta è più preciso: «Siamo a Napoli, don Ci' , a casa di amici. Fra qualche ora saremo lì a Quarto. Tranquillizza la mamma, saluti e baci». Salutiamo i nostri ospiti con un caloroso arrivederci e siparte.

Percorso tutto il lungomare, superiamo Bagnoli e, dopo una buona mezzora, arriviamo a Quarto di Marano: comune a sé, ma nell'hinterland napoletano. Al primo piano di una palazzina sulla strada principale del paese abitano i genitori di Alberto: mamma Nina e don Ciro; con loro c'è Pasqualino detto 'o fetentone, cagnolino trovatello, fedele guardiano di questi anziani (per ben due volte ha messo in fuga dei ladri).

Un decimo di secondo dopo aver suonato il campanello di casa, Pasqualino entra in azione, ululando in vari toni; don Ciro lo minaccia col bastone per farlo smettere, quindi apre il portoncino d'ingresso e logicamente è una festa: accoglienza partenopea, tranne che da parte di Pasqualino, che non si fida ancora di noi.

Pieni di premure, i genitori di Alberto ci accompagnano nella camera che ci ospitera. Particolare l'arredo: le pareti sono letteralmente tappezzate di immagini care alla religiosità popolare. Ad ogni quadro fa da cornice una serie di lampadine a mo’ di altarino, che quando si accendono fanno un certo effetto.

Suonano alla porta: sono arrivate Carmen e Antonella, rispettivamente figlia e nipote dei genitori di Alberto, che abitando a poca distanza li accudiscono. Presentazioni,  saluti. Carmen ha preparato la cena per noi e i genitori; ci chiede però il favore di preparare noi il pranzo di Pasqua del giorno dopo: la festa sarà doppia, in quanto quella domenica don Ciro compirà 90 anni.

A cena, i due anziani mi raccontano un po' di storia della famiglia e del loro bene più grande che sono i figli. Quanto a Pasqualino, non più ostile, se si è accucciato buono buono ai piedi di mamma Nina.

Dopo di che, augurata la buona notte,  ci sistemiamo nella nostra s†anza tra santi e beati che sicuramente vigileranno sul nostro riposo; non senza però aver staccato dalle prese le spine elettriche che alimentano gli altarini, anche per evitare che un’accidentale accensione notturna passi, data la stanchezza della giornata, come un'apparizione celeste, con annesso messaggio.

Mattino di Pasqua. Ci sveglia un bellissimo sole che filtra dalle persiane. Dopo le abluzioni di rito, subito in cucina per la colazione e soprattutto per fare gli auguri a don Ciro. Contento, ringrazia;, vorrebbe comunicarci un desiderio; ma ce lo dirà a pranzo.

Per la verità anche a me viene un desiderio: dato che sono venuto a scoprire Napoli e, fino ad ora, ho visto solo il panorama della città, almeno gli scavi di Pompei vorrei visitarli. Intanto in mattinata dobbiamo fare due cose importanti: partecipare alla messa di Pasqua e preparare il pranzo.

Ecco il menù: 1) maccaroni con ragù, fatto con carne trita un po' grassa come piace a mamma Nina. 2) capretto al forno con gli odori, 3) contorno di verdure cotte e crude, colomba pasquale, frutta secca e di stagione, caffè e ammazzacaffè. Sono le dieci e bisogna darsi da fare perché la messa è alle undici; tra l'altro, i genitori sono abituati a pranzare alle dodici Prepariamo il capretto, ma il forno non funziona; decidiamo allora di cucinarlo in umido. `

Prepariamo anche le verdure da cuocere, qualche contorno. Un'occhiata all'orologio, sono quasi le undici e… il ragù per i maccaroni quando si prepara? È il piatto di Pasqua a cui mamma Nina tiene molto, anche se per il diabete non dovrebbe neppure pensarlo. Alberto ha un'idea: «Cogliamo l'occasione della messa per non preparare il ragù. Sarò una Pasqua senza maccaroni; d'altronde la mamma potrebbe sentirsi male››.

Abbassiamo la fiamma sotto la pentola dove sta cuocendo il capretto e con qualche minuto di ritardo ci avviamo verso la chiesa parrocchiale, nella speranza che il tempo di cottura coincida con la messa. Chiesa stracolma, seguiamo la celebrazione dagli altoparlanti montati all'esterno. La  predica, però, va per le lunghe e il pensiero del capretto che cuoce mi mette una certa agitazione.

Finita la messa, di corsa a casa: il capretto cominciava ad attaccarsi sul fondo  pentola, ma niente di grave, potrebbe addirittura risultarne migliorato il gusto della carne. Prepariamo la tavola, facciamo alzare dal letto mamma Nina, brindisi per la Pasqua e per i 90 anni del papà e via col pranzo: tutto semplice e familiare. Con Pasqualino accucciato in silenzio sotto il tavola, nella speranza che arrivi qualche osso.

Noto comunque che la mamma cerca qualcosa che non vede in tavola: probabilmente spera che da un momento all'altro spuntino i maccaroni. Arrivati al caffè, don Ciro esprime il desiderio di cui ci aveva parlato al mattino: «Per il mio 90° vorrei andare a Pompei».

Ho un sussulto di gioia al pensiero di visitare i famosi scavi. Ma subito dopo il papà precisa: «…a Pompei in basilica per ringraziare la Madonna che mi ha sempre protetto››. Oddio no, non è possibile, sembra quasi che qualcuno si sia divertito a riscrivere un altro programma! Comunque, siamo in ballo e continuiamo a farlo. Dopo un'oretta di riposo, Alberto, il papà ed il sottoscritto saltano sulla Panda e via verso Pompei. Vista la bella giornata, la stessa idea dev’essere venuta a tanti, a giudicare dalle lunghe colonne di auto dirette verso il santuario. Il colmo dell’ironia è che per arrivare alla basilica costeggiamo gli scavi e qualcosa si vede attraverso le cancellate che circondano l'area archeologica: sarà per la prossima volta.

Il santuario è davvero imponente e direi non male dal lato architettonico. Mentre il papà si ferma in preghiera, Alberto ed io girovaghiamo per cappelle, sacrestie ed ex voto; e per circa un'ora l'amico mi racconta le origini del santuario ed annessi, tanto più che il fondatore, Bar†olo Longo, era un parente del nonno di Olga, sua moglie. Ripassiamo a prendere il papà, contento e grato per la visita. Alberto ci propone di arrivare fino a Sorrento costeggiando il golfo: anche qui, colonne di auto ci costringono a viaggiare a passo d'uomo; in compenso possiamo ammirare il panorama davvero stupendo.

S'è fatto però un po' tardi e mamma Nina è da sola in casa; decidiamo quindi di invertire la marcia (siamo all'imbrunire e di Sorrento vediamo solo le prime luci, in lontananza). Provvidenzialmente troviamo Carmen e Antonella che fanno compagnia alla mamma, la quale, anche se ha un certa pesantezza di stomaco, vuole essere aggiornata del pomeriggio a Pompei.

L'indomani è giorno di rientro a Firenze. Ma, alle prime luci del mattino un lamento a tratti proviene dalla stanza dei genitori. Alberto va a controllare cosa succede. La mamma non sta bene: il viso è arrossato, trema, addirittura dice che non vede più nulla. Telefoniamo a Carmen. Poco dopo arriva con Antonella che conosce i problemi di salute dei nonni: controlla il polso, la pressione, verifica se ha preso le medicine per il diabete. Propone di avvisare subito il medico, che arriva da lì a qualche minuto. Quest'ultimo, diventato ormai di famiglia, s'informa su cosa ha mangiato la mamma nelle ultime 24 ore. Alberto espone il menù del giorno precedente; il medico ascolta, però ha l'impressione che manchi qualcosa….

Ad un certo punto la mamma, che si sta riprendendo, ammette che il pomeriggio di Pasqua, mentre noi eravamo a Pompei, s'è messa a cucinare il ragù per i maccaroni e, logicamente, li ha anche mangiati: il fatto che a pranzo non c'erano non le era andato giù, <senza maccaroni non è Pasqua». Con il rischio serio di partire per l'altro mondo, insomma, ci ha fatto prendere un bello spavento. Ramanzina del medico, che  ci saluta e parte per la gita di Pasquetta.

Anche la nostra partenza si avvicina, sarà subito dopo un pranzo obbligatoriamente ultraleggero. Alle 13,30 baci e abbracci con la promessa di rivederci. Anche Pasqualino scodinzola, segno che mi considera ormai della famiglia.

A questo punto chi ha avuto la pazienza di leggere questa cronaca potrebbe intitolarla: "Come andare a Napoli e non vedere nulla, o quasi". E invece io Napoli l'ho vista davvero. Certo, da un'altra prospettiva. E comunque, più di quanto si possa immaginare.

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