Nagorno-Karabakh, la guerra mai finita
Un grande smarrimento cresce nel Caucaso meridionale per la nuova battaglia scoppiata tra azeri e armeni nella piccola enclave del Nagorno-Karabakh, abitata ormai quasi esclusivamente da armeni, nel territorio dell'Azerbaijan. Ogni due o tre anni sono scoppiate negli ultimi 20 anni delle nuove scaramucce, ma stavolta sembra proprio che la questione sia più seria.
Vi ero stato nel 2007, potendo vedere le vastissime macerie a cielo aperto provocate dalle guerre precedenti e un certo desiderio di allentare le tensioni, da parte degli armeni almeno, vincitori della guerra del 1994, che aveva fatto circa 30 mila morti e, si dice, 200 mila profughi azeri. Ma a Baku la visita ai profughi ancora in condizioni di emergenza mi aveva svelato la complessità tragica della situazione.
L'allora presidente del Nagorno-Karabakh mi aveva fatto dono di un libro sulla distruzione delle chiese armene da parte degli azeri, e un ministro azero mi aveva regalato un analogo volume che illustrava al contrario la profanazione delle moschee da parte degli armeni. Avevo incontrato a Sushi un vescovo armeno guerrafondaio e a Stepanakert dei laici di entrambe le parti invece pacifici. Il fatto è che le due popolazioni a lungo hanno convissuto, per secoli. Più o meno pacificamente. Il Caucaso è un carrefour della storia.
La lotta tra azeri e armeni, va detto, è sempre scoppiata per cause esterne, ben più dirompenti delle diatribe locali: dopo la caduta del muro di Berlino, nella prima guerra del 1994, e ora per la lotta feroce che impazza tra Erdogan e Putin, il primo oggi alleato degli azeri, il secondo degli armeni (la Russia ha una base militare in Armenia). Con sullo sfondo le questioni energetiche, visto che l'Arabia naviga su gas e petrolio.
Ora è stato dichiarata una tregua unilaterale da parte degli azeri, dopo che sul terreno sono rimasti una quarantina di morti. Ma gli armeni sostengono che sarebbe un bluff per coprire un'offensiva di ampia portata. C'è da sperare che il buon senso prevalga sulle menzogne della guerra.