Myriam e Mariapia
Per riscoprire la centralità della figura femminile nella vita ecclesiale e sociale.
Gesù storico, per il credente figlio di Dio e per tanti altri uomini di fede non religiosa uno dei più importanti personaggi dell’umanità, ci ha rivelato che nell’amore è il segreto della vita, il Dna profondo di ogni creatura e di ogni rapporto sociale, senza mai legittimare la tentazione ideologica ad un latente e pericoloso proselitismo.
La conversione di cui parla Gesù nel Vangelo è conversione del cuore, ossia interiore capacità di amare i fratelli, di aiutare i più deboli, di trasparenza nei rapporti, di onestà costruttiva, di comunione leale, di ricerca comune di giustizia e di pace. E questo invito è dono per tutti gli uomini, di fede cristiana, di altra fede o di convinzioni non religiose. Si può anche aggiungere che la potenza di questo dono è in questa universalità che chiama l’umanità a riscoprirsi come grande famiglia unita da un unico destino.
È questo il tema di fondo dell’ultimo libro di Mariapia Bonanate, Il Vangelo secondo una donna (Edizioni Paoline), pubblicato già nel ’96; avvertendo l’urgenza di riproporlo agli uomini di questo secondo millennio, ne ha fatto una nuova lettura rivedendolo ed aggiornandolo, e con una straordinaria lettera introduttiva indirizzata a Benedetto XVI e ai vescovi.
Possiamo classificare questo libro come un romanzo-saggio, di quelli amati dallo scrittore Mario Pomilio: alla storia di Myriam, una donna vissuta ai tempi di Gesù, si accompagna la storia interiore di una donna del nostro tempo, la Bonanate appunto, che scopre nella sua esistenza l’attualità perenne di quella “buona novella: una suonata a due voci e su due tempi, quello di ieri e quello di oggi, che diventano l’unico tempo della chiamata alla fraternità tra gli uomini.
Ne vien fuori la forza del messaggio evangelico, che è invito perenne a vivere l’amore. Non c’è infatti pagina del Vangelo da cui non traspaia con incisività tale proposta. Di qui l’appello accorato della Bonanate al papa e ai vescovi di una Chiesa di cui si sente profondamente figlia, a guardare Maria, la madre di Gesù, e in lei riscoprire la vocazione di ogni donna, che è chiamata a porre l’amore al centro della vita umana «per la sua particolare sensibilità verso l’interiorità… per quella vita che germoglia nel suo utero fisico e in quello spirituale».
Per meglio sottolineare questo carisma nella donna, la Bonanate indica due testimoni del Novecento: «Hetty Hillesum, una ragazza ebrea gasata ad Auschwitz, che scelse per questo amore di condividere il destino di massa della sua gente, pur potendo mettersi in salvo», e Chiara Lubich, cattolica, che in tutta la sua esistenza, in un abbraccio planetario con uomini di ogni fede e convinzione, ci ha dimostrato che «l’amore è il più grande carisma… il primato dell’amore sopra ogni cosa».
Sulla scia di queste due donne, la Bonanate riafferma con coraggio l’invito più volte espresso, sia da Giovanni Paolo II che da Benedetto XVI, a valorizzare la donna, individuando nella sua esperienza la centralità dell’amore, esperienza necessaria alla vita stessa della Chiesa, tante volte ancora protesa a vivere il rapporto con Cristo solo «in funzione delle strutture e della loro sopravvivenza… invece di spezzare il pane dell’Eucaristia nell’incontro con l’uomo».
Non si chiede il sacerdozio alle donne, afferma la Bonanate, perché l’amore non ha bisogno di gerarchie ecclesiastiche, di ministeri, in quanto «li precede e li supera in quell’eternità dove non esiste gerarchia ecclesiastica e neppure sacramenti perché tutto sarà solo e per sempre Amore».
Myriam, di cui seguiamo le vicende umane e spirituali, questo l’aveva fortemente compreso ed aveva trasformato la sua vita in un inno d’amore per suo marito, i suoi figli e il suo prossimo.
Un vivere, il nostro, che non ha bisogno di amministratori della grazia, ma di fratelli che vivono nella grazia con la gente e tra la gente, soprattutto in «questi nostri tempi minacciati dall’irreparabile, orfani dell’etica del quotidiano e del senso del sacro». Tempi in cui le guerre si combattono non solo nelle trincee, ma sulle strade della criminalità mafiosa, nelle retrovie delle nostre città dove migliaia muoiono per indifferenza, per alcool e droga. «È molto più facile scendere in strada per inneggiare alla pace contro l’ultima guerra, che riconciliarsi con sé stessi e con chi ci sta accanto ogni giorno, nel silenzio del nostro cuore, della nostra casa».
Di qui la necessità di profeti che rispondano alla fame e alla sete di valori assoluti, e poiché la donna lo è spontaneamente, naturalmente, in modo unico, «perché non ascoltarla, perché non dare alla profezia della sua testimonianza un posto centrale nella vita della Chiesa?».
Un piccolo e fondamentale libro, pagine lucide e di forte presa che ci portano a guardare con speranza al futuro della Chiesa e dell’umanità, in una riscoperta tutta nuova del ruolo della donna.