In Myanmar un uomo dai grandi gesti

Per poter capire i grandi uomini, bisogna saper leggere i segni che lasciano sul loro cammino. Sono gesti, parole o episodi universali
Pope Francis meets with Myanmar's President Htin AP Images

Saper leggere, dei grandi uomini, alcuni segni, gesti, momenti importanti, magari nascosti e di cui i grandi giornali non parlano perché non fanno notizia, è importante. Secondo alcuni, questi gesti, sono la vera chiave di lettura per capire l’anima dei grandi della terra. Forse ne sono l’ago della bilancia. Così anche per papa Francesco. Altri due gesti importanti, non riportati dalle testate internazionali, in attesa spasmodica che il Santo Padre pronunci o meno la parola “rohingya” in un suo qualsiasi discorso. Così facendo si guarda al papa ma non si vede che lui, il problema rohingya, non lo tralascia mai.

Due gesti, dicevo. La prima sta nel dono, offerto ieri, al presidente del Myanmar, l’anziano Htin Kyaw, un fervente buddhista. Tutti nel governo del Myanmar sono buddhisti. Di più, possiamo dire che in Asia naturalmente la gente ’crede’. E Francesco lo sa quando dona al presidente, dopo aver ricevuto una preziosa porcellana e un dipinto del Cristo, una preziosa edizione di una raccolta di numerose  illustrazioni raffiguranti la storia del Buddha edita in Vaticano. Il presidente rimane alquanto sorpreso e risponde con un: «’Ma tutto questo è inaspettato». Il papa abbonda nei dettagli: si tratta di un’edizione del XIII secolo, molto preziosa. Bergoglio, capo della Chiesa cattolica, dona così a un capo di Stato buddhista quanto di più prezioso ci possa essere per lui: la storia di Gautama Buddha, edita in Vaticano, al centro della cattolicità.

Altro episodio importante, durante un evento già commentato, cioè l’incontro privato di 15 minuti, col noto monaco buddhista Sitagou Sayadaw, figura influente e controversa, spesso chiamato a presiedere cerimonie con personalità del governo. Pochi mesi fa, in un sermone alla presenza di ufficiali militari con le loro famiglie, aveva raccontato l’antica storia di un re buddhista srilankese che aveva ucciso molti indù in un’epica battaglia: un «peccato che non era molto pesante», aveva commentato il monaco, «trattandosi non proprio di essere umani». Una chiara indicazione, ai militari, che potevano e dovevano andare avanti con loro lavoro contro i rohingya.

Incontrare questo monaco, significa perciò, per il papa, incontrare un promotore della persecuzione contro i profughi, i rohingya in particolare. Dopo il capo della sicurezza, incontra la sua “guida spirituale”. L’ha fatto, nonostante ciò potesse sembrare “politicamente scorretto”. Perché vuole sempre andare alla radice dei problemi e non evita il conflitto. Papa Francesco ci insegna, con i suoi gesti, l’urgenza di costruire ponti, di arrivare là dove nasce il malinteso, l’errore, l’incomprensione, la persecuzione e l’offesa. Non occorre fare dichiarazioni che urtano: nessuna alzata di voce alta e nessun pugno sul tavolo, ma l’incontro, il dialogo, l’amicizia, il dono.

 

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