Myanmar, oltre al danno la beffa

Nuova condanna per Aung San Suu Kyi: altri 3 anni di carcere per corruzione. Oltre al danno la beffa di essere condannata per reati mai commessi, e si affaccia la prospettiva di nuove elezioni indette dal regime golpista per il 2023, per legittimarsi.  
Myanmar (AP Photo, File)

L’interminabile calvario del Myanmar continua, e si sommano le due nuove condanne inflitte alla leader della National League for Democracy. L’ex premier del Myanmar era stata condannata in agosto ad altri sei anni di carcere per corruzione, e ad altri tre anni per frode elettorale. In totale, al momento, Aung San Suu Kyi (che ha 77 anni), deve scontare una pena complessiva di 26 anni, che significa che la premio Nobel per la Pace 1991 sarà “legittimamente” esclusa dalla vita politica del suo Paese, pur avendo vinto le elezioni.

Ma la giunta militare golpista ha pronte per lei imputazioni per condannarla ad altri 100 anni di carcere, e la macchina della giustizia-beffa non sembra volersi fermare. Aung San Suu Kyi era stata arrestata il 1 febbraio 2021, alle 3 del mattino, prima del colpo di stato militare messo in atto dagli uomini della sicurezza del generale Min Aung Hlaing. Queste condanne sono le battute di una crudele commedia recitata dai militari per “insegnare” all’intero popolo del Myanmar chi comanda e chi deve ubbidire.

Dal 1 febbraio 2021 il Paese è tornato indietro di 60 anni di colpo, anzi con molti colpi: di mitragliatori, mortai, missili e quant’altro in possesso delle forze militari del Tatmadaw, l’esercito al servizio del generale Hlaing. Anche tutti i leaders dell’opposizione che non hanno voluto allinearsi con le direttive del generale e della giunta, sono stati ammazzati o sono finiti in carcere, oppure si trovano in esilio nelle foreste del Myanmar. Da lì, i sopravvissuti hanno formato il Nug, il Governo di Unità Nazionale, per tentare di resistere.

Da febbraio 2021 ad oggi, le forze militari e paramilitari del Myanmar hanno ucciso circa 3 mila persone, distrutto oltre 20 mila case ed edifici religiosi, arrestato più di 15 mila cittadini. I dispersi e profughi sono 1,2 milioni: fra loro, solo alcune decine di migliaia hanno trovato rifugio in Thailandia.

Nei processi-farsa, la difesa è impossibilitata a lavorare per controbattere le accuse. Chi tenta (anche gli avvocati difensori) di contestare le teorie del governo o dei giudici, viene accusato di alto tradimento, di menzogne e di diffonfere notizie false e tendenziose, e, pertanto, di nuocere alla sicurezza nazionale.

Esiste una sola verità: quella di chi detiene il potere. In questo ultimo anno, Aung San Suu Kyi ha continuato a subire processi e ricevere condanne con diverse accuse che, per la maggior parte della sua gente e per l’opinione pubblica internazionale, sono false e pretestuose. Così sfacciatamente false che solo Paesi con interessi economici, militari e geopolitici ben precisi, fanno finta di non vedere, non sentire e non parlare riguardo al Myanmar, per non inimicarsi la giunta militare che ha il potere assoluto e controlla le ricchezze della nazione.

Nel nome della non ingerenza negli affari interni e per la difesa di un Paese amico, la Russia fornisce massicce dosi di armi e tecnologia militare al regime birmano: il Myanmar ha l’innegabile vantaggio strategico di trovarsi proprio in mezzo tra India e Cina, un punto di osservazione privilegiato che la Russia ritiene molto vantaggioso poter controllare da vicino.

Per la Cina poi il Myanmar è vitale perchè costituisce un prezioso affaccio sul Golfo del Bengala e una base strategica nelle vicinanze dell’India, con i porti ampiamente in mano cinese di Kyaukphyu (da cui partono un oleodotto, un gasdotto, e un’autostrada diretti in Cina) e Mawlamyine (nodo strategico che collega la Cina con il resto del sud-est asiatico).

Senza dimenticare Yangon, l’ex capitale birmana, porto mercantile di grande importanza collegato con la Cina attraverso un’autostrada a 4 corsie che evita alle navi cinesi provenienti dall’Oceano Indiano di passare da Singapore e dallo Stretto di Malacca, controllato dalla settima flotta statunitense.

Per i cinesi, inoltre, il Myanmar rappresenta anche un mercato per accedere, a prezzi molto scontati, a giada, legno pregiato, minerali e mano d’opera a costo ancora più basso che in Cina.

Tutto questo ed altro coprono ampiamente le spalle al generale Min Aung Hlaing, che si sente così al sicuro da qualsiasi opposizione interna e dalla guerriglia della Pdf (People Defence Force) che difende il Nug. Da militare privo di scrupoli, il generale non ha interesse a “dialogare” con nessuno, non solo con l’opposizione interna ma neppure con l’Asean (Associazione dei Paesi del sud-est asiatico), dalle regole troppo democratiche.

Forse, però, al generale non dispiacerebbe una qualche investitura, anche solo formale: da qui, l’idea delle nuove elezioni che pare voglia indire per l’anno prossimo. Un modo per cancellare l’esito indisponente di quelle del novembre 2020, quando la Lega democratica, il partito di Aung Sann Su Kyi, vinse col 98% dei voti (tra parentesi, anche con quelli dei militari).

La comunità civile internazionale ha pertanto il dovere morale di prendere coscienza di questo abuso e di fare pressione in tutti i modi attraverso l’opinione pubblica contro un’omologazione che ha lo scopo ben preciso di annullare le legittime aspirazioni dei popoli del Myanmar.

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