Myanmar, la lunga via per la democrazia

La Signora ha vinto e anche il governo militare ha riconosciuto la sua leadership. Ora serve avviare un percorso di riconciliazione nazionale, assolutamente necessario per lenire ferite politiche, sociali ed umane accumulatesi in questi decenni. Resta aperta anche la questione dei prigionieri politici
La neo eletta Aung San Suu Kyi

La ‘Signora’ ha vinto. Anche se è il partito della Nld ad aver guadagnato la maggioranza assoluta, è lei che ha, di fatto, assicurato il successo all’opposizione democratica in Myanmar. Lo spoglio, durato alcuni giorni, anche se alcune operazioni devono ancora essere completate, ha dato il responso finale: il partito del Premio Nobel si è assicurato 348 dei 664 seggi previsti lasciandone appena una manciata, 40, alla Usdp. La Commissione elettorale ha ufficializzato i risultati decretando, come era chiaro già dalle fasi iniziali delle operazioni di spoglio,la schiacciante vittoria di Aung San Suu Kyi, la figura carismatica della lotta alla democrazia di un intero Paese, durata decenni, ha per giorni invitato alla calma, ma è ora chiamata ad uscire decisamente allo scoperto per capire quali saranno i prossimi passi per iniziare il processo di democratizzazione.

 

Senza dubbio la Aung San Suu Kyi si è assicurata una maggioranza “storica” in Parlamento e ora il suo partito ha la possibilità di formare il nuovo governo. Si tratta del primo vero governo civile in oltre 50 anni per questo Paese del Sud-est asiatico, retto per decenni da una dittatura militare e negli ultimi quattro da un esecutivo emanazione della giunta. Ancora oggi, per via della Costituzione approvata dal governo militare, nonostante questo trionfo, un quarto dei seggi restano assegnati ai militari, che conservano anche il controllo di tre ministeri chiave con nomine dirette: Interni, Difesa e Controllo dei confini. Inoltre, sempre secondo la Carta, Aung San Suu Kyi non può essere eletta presidente. L’iter per l’elezione del presidente avrà inizio in gennaio e per questo la leader vittoriosa non si è mai stancata di invitare i propri sostenitori alla calma e a evitare gesti provocatori, sottolineando che il processo elettorale “non si è ancora concluso”.

 

La “Signora” chiede prudenza e contegno anche nelle prossime settimane, aggiungendo che, una volta al governo, stabilirà tempi “chiari e precisi” in tema di riforme. “Le elezioni sono solo il primo passo” ha concluso la Nobel per la pace e neo leader di una nazione in cui restano aperte molte questioni: quella dei prigionieri politici, il problema creato dall’arresto di studenti e attivisti e l’influenza dei militari sulla vita pubblica. Infatti, igiovani arrestati nei mesi scorsi per le proteste contro la riforma dell’Istruzione, hanno organizzato uno sciopero della fame all’interno del carcere e le loro condizioni di salute si stanno deteriorando. Per Aung San Suu Kyi la liberazione dei detenuti politici è una priorità. Ma, come detto, i Ministeri interessati alla questione – quello della Difesa e quello degli Interni – restano nelle mani dei militari. La situazione degli studenti è del tutto confusa: uno di loro è stato ricoverato in ospedale, mentre di altri si ignora lo stato di salute perché le autorità del carcere impediscono le visite dei familiari. 

 

La questione dei prigionieri è piuttosto spinosa. Nel giugno 2013, il presidente uscente Thein Sein aveva assicurato la liberazione di tutti i detenuti politici entro la fine dell’anno.  La promessa non è stata mantenuta, e per di più, fonti dell’Assistance Association for Political Prisoners-Burma (Aapp) e Former Political Prisoners Society Myanmar (Fpp) affermano che, ad oggi, vi sono 112 prigionieri politici in cella (studenti, giornalisti, attivisti, politici, sindacalisti) e altri 470 in attesa di processo.

La vittoria della leder dell’opposizione che già aveva trionfato circa venticinque anni fa in una tornata elettorale i cui risultati non erano mai stati riconosciuti dalla giunta militare che, anzi, l’aveva messa, per anni, agli arresti domiciliari, era data per scontata, ma nessuno si attendeva un trionfo di queste dimensioni. Emerge chiaramente il rifiuto da parte dell’intera opinione pubblica del regime dittatoriale.

 

Il comandante in capo dell’esercito il generale Min Aung Hlaing ha dichiarato che presto, non appena lo spoglio sarà finalmente completato in tutti i seggi anche nei villaggi più remoti, inizieranno le consultazioni con Suu Kyi. La ‘Signora’ della Birmania ha già dichiarato che sarebbe disponibile ad esercitare un’autorità al di sopra del presidente stesso. Si tratta, ovviamente, di una riconosciuta autorità morale che questa donna può vantare, ma che resta, per ora, nebulosa in quanto a chiarezza di rapporti con la politica e le cariche dirette. La coraggiosa leader birmana ha, comunque, proposto delle conversazioni che mirino ad una riconciliazione nazionale, processo assolutamente necessario per lenire ferite politiche, sociali ed umane accumulatesi in questi decenni.

 

La comunità internazionale ha reagito con ovvia soddisfazione alla vittoria della San Suu Kyi. Il Segretario Generale delle UN, Ban Ki-moon, ha fatto immediatamente pervenire le sue congratulazioni alla leader del Myanmar sottolineando il ‘suo coraggio e la sua visione’. Anche il presidente Obama ha espresso chiari segni di incoraggiamento sperando che il Paese si avvii decisamente sulle strade della democrazia.

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