Myanmar: ha giurato il nuovo presidente coi 18 ministri
Continua il cammino lento ma progressivo del Myanmar verso una gestione democratica del Paese. Il primo aprile, infatti, il neo-eletto presidente Htin Kyaw ha promesso fedeltà al popolo birmano nel corso di una seduta congiunta del Parlamento del Paese del Sud-est asiatico. Come già spiegato in alcuni articoli precedenti, si tratta di un fedelissimo di Aung San Suu Kyi, la vera vincitrice delle elezioni dello scorso autunno e del primo presidente non militare in 50 anni. In molti attendevano di vedere se un ruolo nel nuovo Gabinetto sarebbe stato riservato alla “signora”, come Aung San Suu Kyi viene da tutti chiamata con un feeling misto di rispetto e familiarità. Nella nuova lista dei diciotto ministri che hanno prestato giuramento è proprio lei l’unica donna ed è stata chiamata a guidare il ministero degli Esteri e quello dell’Educazione ed energia, oltre all’ufficio del presidente. I militari hanno mantenuto il controllo di tre ministeri chiave: quello della Difesa, degli Interni e dei Confini.
Nel corso della cerimonia il presidente si è rivolto alla nazione e al suo popolo mettendo in evidenza quelle che sono le priorità di fronte alle molte sfide che la nuova amministrazione si troverà ad affrontare. Al vertice delle priorità, Htin Kyaw ha posto l’impegno a raggiungere un cessate il fuoco su scala nazionale, per interrompere i conflitti tra minoranze etniche e governo centrale, un problema che attanaglia la nazione asiatica da decenni. Proprio sulla “riconciliazione nazionale” era tornata nelle scorse settimane anche la stessa Aung San Suu Kyi. In questa prospettiva si può capire la scelta di Henry Van Thio, un cristiano di etnia Chin, che ricoprirà il ruolo di vice-presidente.
Un secondo elemento di grande urgenza è rappresentato dalla necessità di riformare la Costituzione per far sì che possa essere conforme ai moderni valori democratici che si desidera ritornino in atto. Per molti, sia analisti stranieri che protagonisti politici interni, questo rappresenta un nodo cruciale nel nuovo corso birmano e, con tutta probabilità, costituirà motivo di frizione tra il nuovo governo e i militari che, mantenendo per Costituzione il 25 per cento dei seggi parlamentari, potranno mettere il veto su qualunque tentativo di modifica della Carta, per il quale sono necessari più del 75 per cento dei voti. Resta, poi, la questione più delicata, quella della legge ad personam che ha impedito alla “signora” di diventare presidente del Paese perché sposata a un cittadino inglese e con figli che hanno la cittadinanza britannica.
Sia pure con un processo democratico avviato, ma ancora debole e instabile, il Paese vive in un clima di speranza, come ha sottolineato il cardinale Bo, arcivescovo di Yangon che, nel messaggio inviato ai cattolici in occasione della Pasqua, ha affermato che «il fiume della democrazia si sta lentamente riversando nel deserto della disperazione», elencando anche i numerosi «segni di resurrezione del Paese che vediamo attorno a noi». «Il Myanmar si trova sulla soglia della speranza», ha insistito il prelato birmano. «Dopo oltre mezzo secolo di oppressione brutale per mano di una serie di regimi militari, e dopo più di sessanta anni di guerra civile – ha dichiarato il cardinale in un intervento condiviso con Vatican Insider – ora abbiamo la possibilità di iniziare a costruire un nuovo Myanmar, per sviluppare i valori della democrazia, per proteggere e promuovere i diritti umani, per lavorare per la pace. È una nuova alba per Myanmar».