Musulmane ferite non da violenza, ma da pregiudizio

Abbiamo voluto celebrare questa giornata che in tutto il mondo vede manifestazioni, convegni e momenti artistici raccontando un’amicizia tra un’italiana e una marocchina nata proprio dal valore dato alla donna nei diversi contesti religiosi e culturali
Donne islamiche ad una manifestazione a Roma

Nadia Zatti sui banchi della scuola superiore ha conosciuto Amina, marocchina ma nata in Italia e sono diventate amiche. Negli ultimi anni Amina sceglie di mettere il velo e quel sottile tessuto colorato rischia di diventare un muro tra le due e un impedimento al loro rapporto. Poi la domanda di Nadia: «Perché porti il velo?». Da quel momento comincia un percorso di conoscenza autentica dove i pregiudizi sempre in agguato cedono il posto alla conoscenza, alla condivisione di scelte etiche importanti che avvicinano Nadia, cristiana, ad Amina musulmana. Si ritrova più simile a lei che ai tanti compagni cristiani. Da questa amicizia “senza veli” nasce il libro “Ho il cervello sotto il velo”, la tesi di laurea in Scienze Politiche di Nadia diventa un’indagine accademica sulle scelte dell’Islam al femminile che apri spazi di conoscenza e di ricerca che sfidano il clima culturale italiano. Abbiamo raggiunto Nadia in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, per farle qualche domanda sulle donne e l’Islam.

Dottoressa Zatti quando si pensa ad una donna islamica, i primi aggettivi che balzano alla mente sono: vittima, prigioniera, antiquata, reclusa. Poi ci sono le parole gravi: violenza, assassinio, coercizione. E il velo sembra una di quelle pratiche che avvalorano questa sottomissione. Come risponde a queste provocazioni che hanno anche riscontri importanti nella realtà?

L’Islam così come è scritto nel Corano o meglio come dovrebbe essere praticato dai musulmani è lontano dalla violenza e dal sopruso e persino dalla sottomissione. Issam Mujahed, medico palestinese e presidente del Consiglio delle Relazioni Islamiche Italiane e autore della prefazione al mio libro è lapidario: «I mariti che impongono alle donne il velo o che le costringono a restare a casa non hanno capito nulla dell’islam. È una distorsione della religione ed è contro le sue fondamenta». Purtroppo il messaggio trasmesso dai mass-media e dall’opinione pubblica in generale si centra più su sottomissione, violenza e chiusura.

Ma non si può negare che esistono casi di violenza…

Quando penso alla violenza sulle donne legata all’islam rabbrividisco perché non ha alcun collegamento al fatto religioso in sé, perché in tutte le religioni ci sono persone con una visione distorta e che estremizzano delle tradizioni culturali. Prima di tutto viene la storia personale. Poi certe sottolineature della tradizione islamica vanno contestualizzate nell’epoca di nascita perché, oggi, prendere alla lettera certi aspetti significa tornare indietro di duemila anni e questo vale anche per il cristianesimo: certe espressioni delle origini sono impensabili adesso.

E le donne come se la cavano in questi contesti?

Ho incontrato donne decise, forti, convinte delle loro posizioni, molto istruite e che hanno fatto la scelta del velo – una scelta personalissima – dopo un percorso di crescita personale e di crescita nella fede senza che intervenisse nessun uomo. Anzi, quando la mia amica ha preso questa decisione, il padre l’ha messa in guardia dalle conseguenze che avrebbe potuto avere nella società occidentale, delle difficoltà nella ricerca del lavoro e di una casa ed è stato proprio così perché a Brescia trovare un appartamento per una studentessa musulmana velata non è stato facile. Da questa esperienza ho dedotto che la violenza più forte che queste donne subiscono dopo la scelta del velo è il pregiudizio della società e non la violenza. Le violenze in famiglia si trasmettono quando una persona ha subito violenza e tende a riproporle nel suo contesto, perché unico modello di rapporti.

L’Islam però sottolinea particolarmente il ruolo materno della donna e non tanto quello sociale…

Nel Corano ci sono sure che parlano del ruolo della donna, come colei che si occupa dell’educazione dei figli, che deve dedicarsi molto alla famiglia e alla casa e quindi c’è una divisione dei ruoli marcata. Questo non impedisce alle donne di studiare e di avere un gruppo con cui confrontarsi e uscire, ma molto dipende dalla persona e da come si vive il rapporto di coppia all’interno di una famiglia. Non è vera questa totale dipendenza dall’uomo perché ho conosciuto donne che portano avanti le loro passioni e i loro interessi e dall’islam si sentono protette e valorizzate nel loro ruolo di madre e di moglie, cosa che ben poco si fa in occidente. Il marito che impone di non uscire o di non studiare non si deve celare dietro motivi religiosi, ma motivare delle scelte di vita che poco hanno a che fare con il Corano.

Cosa augurerebbe alle donne, islamiche e non, in questa giornata?

Augurerei a tutte di coltivare delle amicizie vere, che aiutino le donne italiane a conoscere quelle musulmane.

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