Musica di seconda mano
Lo diciamo da tempo, ma ultimamente il trend appare ancor più plateale. Complici i vari X Factor e compagnia starnazzante, il mercato della musica è intasato di cover: infinite riletture dei classici nazionali o internazionali, mentre le playlist radiofoniche s’ingolfano di riletture dei soliti classici di Battisti, di Mina, e delle hit più roboanti degli ultimi cinquant’anni.
La febbre del remake impazza accompagnando il fenomeno delle ristampe degli originali in antologie più o meno pretestuose. I cartelloni concertistici offrono rassegne di cloni dei grandi del passato: gruppi in grado di rifare alla perfezione i brani degli U2 (la band migliore è quella degli Achtung Babies), piuttosto che dei Genesis (coi perfetti Musical Box), di Neil Young (i Rusties) o dei Led Zeppelin (i californiani Led Zepplica).
La crisi discografica ha di fatto innescato un loop imbarazzante e pericoloso: per lasciare il segno nel gran calderone dei carneadi, l’unico/ultimo espediente è ormai quello d’aggrapparsi all’usato sicuro degli evergreen o di fare il verso alle poche griffe ancora affidabili. Perché l’asfitticità dei mercati impedisce agli investitori quegli azzardi attraverso i quali un tempo si poteva sperare di pescare il nuovo personaggio o la nuova canzone capace di risollevare i bilanci. E se l’escamotage valeva per gli esordienti, oggi è abusato anche dai big, da Renga alla Mannoia, da Rod Stewart ai Killers, fino a Peter Gabriel, il cui nuovissimo Stratch my back contiene cover, per altro splendide, di brani di Paul Simon, Bowie, Radiohead ecc.
Si sta raschiando il fondo della pentola: basti pensare che l’ultima febbre planetaria è l’air guitar: stuoli di chitarristi che si esibiscono davanti a platee in delirio mimando gli assolo più spettacolari dei loro idoli: con le mani, ma rigorosamente senza strumento! E la moda va così forte che c’è già chi ne organizza show televisivi e perfino un campionato mondiale…